Oleg aveva scelto di sposare Nadija con un solo scopo: ferire Maria. Voleva convincere sé stesso e il mondo intero che il suo cuore non era stato spezzato dal tradimento.
Con Mascia aveva condiviso quasi due anni di vita. L’aveva amata con tutta l’anima, era pronto a stravolgere il suo destino pur di trasformare in realtà i sogni di lei. Era convinto che il matrimonio fosse il passo successivo, eppure ogni volta che toccava l’argomento, lei lo liquidava con le stesse parole:
«Un matrimonio adesso? A cosa serve? Non ho finito l’istituto, la tua azienda è un’incertezza, niente macchina decente, nessuna casa di proprietà. E poi… non voglio vivere in cucina con tua sorella. Se non aveste venduto quella casa, saremmo tranquilli e senza problemi».
In quelle frasi, per quanto dure, c’era una verità che Oleg non poteva negare. Viveva ancora con la sorella Olja nell’appartamento dei genitori, la piccola impresa di famiglia arrancava e lui non aveva ancora terminato gli studi. Per salvare il negozio dai debiti, avevano venduto la casa d’infanzia, riuscendo appena a rimettere in piedi le attività.
Mascia però guardava solo al presente, coccolata dai genitori, incapace di immaginare sacrifici. Oleg invece era stato costretto a crescere in fretta: responsabilità, conti da pagare, lavoro da gestire. Credeva che tutto, prima o poi, si sarebbe sistemato.
Non immaginava che la fine fosse così vicina. Quella sera dovevano andare al cinema, ma Mascia gli aveva chiesto di non passare a prenderla. Lui l’aspettava alla fermata quando la vide arrivare su un’auto elegante. Scese, gli porse un libro e, con un sorriso freddo, disse:
«Scusami, non possiamo più vederci. Mi sposo».
Risali in macchina e sparì. Oleg rimase pietrificato.
A casa, la sorella lo capì subito dal volto:
— Lo sai già?
Un cenno del capo.
— Sposa un uomo ricco. Mi ha chiesto di fare da testimone. Ho rifiutato. È una traditrice.
Oleg la strinse a sé:
— Che le vada bene… a noi andrà meglio.
Ma dentro di sé covava un fuoco. La sera stessa, con lo sguardo acceso, disse a Olja:
— Prepara le cose. Mi sposo con la prima che accetta.
La sorella cercò di fermarlo, ma era inutile. Nel parco, due ragazze lo presero per matto, la terza invece lo fissò negli occhi e disse “sì”. Si chiamava Nadija.
Il resto avvenne in un lampo: il fidanzamento improvvisato, la data fissata, i preparativi. Oleg organizzò tutto, persino l’abito e il velo della sposa. Nadija, intelligente e concreta, non oppose resistenza. Era come se avesse deciso di fidarsi del destino.
Il giorno delle nozze, il caso volle che incontrassero Maria e il suo nuovo promesso proprio al municipio. Oleg la salutò con finto distacco:
«Auguri! Sii felice col tuo portafoglio ambulante».
Maria lo scrutò: Nadija era alta, elegante, sicura di sé. Per un attimo la gelosia le strinse lo stomaco.
Eppure, mentre stringeva la mano della sua sposa, Oleg capì che la sua decisione, nata dall’orgoglio, stava diventando una promessa reale.
Nadija si rivelò una compagna preziosa: gestiva la casa, aiutava Olja a calmarsi nei momenti impulsivi, riorganizzò le finanze con competenza. In poco tempo l’azienda rifiorì: un secondo negozio, squadre di operai, poi i primi cantieri.
Era una donna saggia, una Vasilisa moderna, che con discrezione trasformava le idee in risultati concreti. Oleg viveva una stabilità mai conosciuta, ma dentro di lui restava una crepa: gli mancava la passione bruciante che aveva provato con Mascia.
Quando, tempo dopo, la ex riapparve implorante e disfatta, lui non poté fare a meno di incontrarla. Ma fu solo un amaro risveglio: abiti volgari, profumo economico, parole cariche di richieste di denaro. Nulla a che vedere con la dignità e la forza di Nadija.
«Che stupido sono stato», si rimproverava tornando a casa. «Olja aveva ragione».
E fu allora che capì: non aveva mai chiamato la moglie con il diminutivo tenero che lei meritava. Non aveva mai riconosciuto davvero il tesoro che aveva accanto.
Quando raggiunse Nadija, che era stata dalla nonna malata, la strinse forte e sussurrò:
— Una settimana senza di te era troppo. Non resisto neanche due giorni lontano da te.
Lei rise tra le lacrime:
— Sei proprio un matto.
E in quell’abbraccio, Oleg comprese che la vendetta aveva ceduto il posto all’amore autentico.