«Signora, forse dovrebbe andare a lavorare in un altro reparto», dissero ridendo i giovani dipendenti, scambiandosi occhiate complici mentre osservavano la nuova arrivata. Nessuno di loro immaginava che proprio io fossi la persona che, pochi giorni prima, aveva comprato l’intera azienda.

— E lei chi sarebbe? — sbuffò il ragazzo al bancone, senza nemmeno alzare lo sguardo dal telefono.

Il taglio di capelli curato e la felpa griffata erano un manifesto di arroganza e disinteresse per tutto ciò che non fosse il suo riflesso.

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Yelizaveta Andriivna si sistemò la borsa resistente sulla spalla. Si era vestita con discrezione: una camicetta semplice, una gonna modesta appena sotto il ginocchio, scarpe basse. Tutto studiato per passare inosservata.

Il vecchio direttore, Hryhorii, ormai esausto dalle lotte interne e pronto a venderle l’azienda, aveva sorriso ascoltando il suo piano:

— Un cavallo di Troia, Andriivna. Non si accorgeranno di nulla, finché non sarà troppo tardi.

— Sono la nuova collega, al reparto documentazione — rispose lei calma, senza sfumature autoritarie.

Il ragazzo finalmente alzò gli occhi, la scrutò dall’alto in basso e rise appena.

— Ah sì, ci avevano avvisato. Ha già il badge?

— Certo, eccolo.

Con un gesto pigro indicò il tornello, come se stesse parlando a un insetto smarrito.

— La sua postazione è laggiù. Se la cavi.

Yelizaveta annuì. Se la caverò, eccome, pensò, avviandosi nell’open space.

Aveva superato prove ben più dure: la morte improvvisa del marito, un’azienda salvata dal fallimento, investimenti rischiosi trasformati in fortuna. A sessantacinque anni non aveva più paura della solitudine né dell’altrui derisione.

Quell’azienda di informatica, brillante in apparenza ma corrosa dall’interno, era il suo nuovo cantiere.

La scrivania che le avevano assegnato, graffiata e cigolante, era un relitto nel mare scintillante di computer e vetro.

Poco dopo si avvicinò Olha, la responsabile marketing, profumata di lusso e superiorità.

— Si sta ambientando? — chiese con un sorriso falso.

— Ci provo — rispose Yelizaveta.

— Perfetto. Dovrà dare un’occhiata ai contratti del progetto Altair. Sono in archivio. Nulla di complicato.

La guardò con la sufficienza con cui si osserva un fossile. Appena si allontanò, un coro di risatine taglienti la seguì:

— Tra poco assumeranno pure i dinosauri!

Yelizaveta non batté ciglio. Prese la strada dell’archivio, ma lungo il percorso incrociò Stas, il capo degli sviluppatori. Giovane, arrogante, con un orologio costoso al polso.

— Nonna, il suo posto è di là. Qui facciamo cose serie, che lei non capirebbe — disse, strappando altre risate dai colleghi.

Lei lo fissò impassibile. Tutto questo l’hai comprato coi i miei soldi, pensò.

Nell’archivio trovò subito i fascicoli del progetto Altair. A un occhio inesperto sembravano regolari. Ma lei, abituata a riconoscere i vecchi giochi di bilancio, vide subito le anomalie: importi arrotondati, descrizioni vaghe, spese sospette.

Entrò allora una giovane contabile, Lena, con un sorriso timido e nessuna arroganza.

— Se vuole, posso aiutarla con il database — disse gentile.

— Grazie, sarebbe un piacere — rispose Yelizaveta, colpita dalla sua umanità.

Più tardi comparve Stas, impaziente:

— Mi serve subito il contratto con Cyber-Systems. Perché non è ancora digitalizzato? Ma lei cosa fa qui tutto il giorno?

Le strappò il fascicolo di mano, urlando:

— Sempre problemi con voi vecchi!

Lei non reagì. Prese il telefono e chiamò il suo avvocato.

Il giorno seguente la verità era sul tavolo: Cyber-Systems era una società fittizia intestata al cugino di Stas.

Durante la riunione generale, Olha cercò di umiliarla davanti a tutti, mandandola a recuperare un fascicolo. Yelizaveta tornò con passo calmo, ma questa volta non abbassò la testa.

— Ha ragione, Stanislav, il tempo è denaro. Peccato che attraverso Cyber-Systems sia finito nelle tasche sbagliate. Ci spieghi chi è Petrov?

Il gelo calò sulla sala.

Yelizaveta si mise a capotavola, con voce ferma:

— Mi presento: sono Yelizaveta Andriivna Voronova, nuova proprietaria di questa azienda.

Lo shock fu totale.

— Stanislav, sei licenziato. Lo stesso vale per Olha e chiunque abbia ritenuto la mia età un difetto. Avete un’ora per andarvene.

Indicò Lena, tremante in fondo alla sala:

— Tu invece hai dimostrato rispetto e professionalità. Da oggi entri nel nuovo reparto di controllo interno.

Un brusio riempì la sala. Yelizaveta uscì, lasciandosi dietro un regno di arroganza crollato.

Non provò trionfo, solo la fredda soddisfazione di chi sa di aver ripulito il terreno.

Per costruire qualcosa di solido, prima bisogna eliminare le fondamenta marce.

Ed era solo l’inizio della sua vera ricostruzione.

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