Una tassista al nono mese offre a uno sconosciuto senzatetto e ferito un passaggio gratuito all’ospedale in una notte di pioggia. La mattina seguente si sveglia con una parata di SUV fuori casa. Uomini in giacca bussano alla sua porta con una verità che le cambia la vita per sempre.
Dopo due anni al volante, Cleo aveva visto ogni tipo di passeggero che un taxi potesse trasportare: comitive delle tre del mattino che barcollavano, famiglie che correvano a prendere l’aereo e uomini d’affari dall’aria colpevole che sapevano di cocktail e cattive decisioni. Aveva ascoltato ogni storia, asciugato più di una lacrima e imparato a leggere le persone prima ancora che aprissero la portiera.
I fari del taxi giallo tagliavano la nebbia di novembre mentre Cleo guidava per le strade vuote del centro quella notte.
Le faceva male la schiena e il bambino sembrava deciso a fare ginnastica contro le sue costole. A otto mesi di gravidanza, il turno notturno diventava sempre più duro. Ma le bollette non si pagano da sole, giusto?
«Ancora poche ore, amore mio», sussurrò, accarezzandosi il pancione. «Poi torniamo a casa da Chester.»
Il bambino scalciò in risposta, strappandole un sorriso nonostante tutto. Chester, il suo gatto rosso, probabilmente in quel momento era sdraiato sul suo cuscino, spargendo pelo arancione ovunque. Di questi tempi, quel gatto era la cosa più simile a una famiglia che Cleo avesse.
Il pensiero di casa riportò a galla ricordi indesiderati. Cinque mesi prima, era salita di corsa su quegli stessi gradini del loro appartamento, il cuore in gola per l’emozione.
Aveva pianificato tutto alla perfezione: la cena a lume di candela, la lasagna preferita di suo marito Mark, il piccolo paio di scarpette avvolto in carta argentata.
«Aspettiamo un bambino, amore!» aveva detto, spingendo il pacchetto dall’altra parte del tavolo.
Mark aveva fissato le scarpette, impallidendo. Il silenzio si era allungato finché Cleo non ce la fece più.
«Di’ qualcosa.»
«Non ce la faccio, Cleo.»
«Cosa vuol dire che non ce la fai?»
«Anche Jessica è incinta. Di mio figlio. Al terzo mese.»
Le candele erano quasi spente mentre il mondo di Cleo crollava. Jessica. La sua segretaria. La donna che lui aveva giurato fosse «solo un’amica».
«Da quanto mi tradisci?»
«Importa?»
In realtà, no. Nel giro di una settimana, Mark se n’era andato. In due, aveva ripulito il conto comune. Ora, a 32 anni, Cleo faceva doppi turni, cercando di mettere da parte abbastanza per l’arrivo del bambino.
«Tuo padre può averci dimenticati», sussurrò al pancione, reprimendo le lacrime mentre tornava al presente, «ma noi ce la faremo. Vedrai.»
Quella notte, però, a tre settimane dal termine, con le caviglie gonfie e la divisa premaman che tirava sul ventre, Cleo s’imbatté in qualcosa di diverso.
Erano le 23:43 quando lo vide: una figura solitaria che arrancava sulla banchina dell’autostrada.
Tra l’alone dei lampioni e la pioggerellina, emerse come un fantasma dall’ombra della 42ª Strada. Anche da lontano, qualcosa in lui le fece accelerare il battito.
I vestiti pendevano a brandelli sporchi e i capelli scuri gli si appiccicavano al viso in ciocche bagnate. Si teneva un braccio al petto e trascinava la gamba destra, zoppicando sul marciapiede deserto.
La mano di Cleo andò istintivamente al pancione mentre lo osservava attraverso il parabrezza. Avrebbe dovuto essere a casa da un’ora, rannicchiata con Chester, che le faceva sempre le fusa sulla pancia come a cullare il bambino.
Ma qualcosa nella disperazione di quell’uomo, nel modo in cui oscillava a ogni passo come lottando per restare in piedi, le fece stringere più forte il volante invece di andarsene.
In due anni di notti alla guida, Cleo aveva imparato a fiutare i guai. E tutto in quella scena urlava pericolo.
Attraverso la nebbia, colse altri dettagli. Era un ragazzo giovane, forse sui venticinque, con addosso quelli che un tempo erano vestiti costosi.
Si stringeva il braccio destro e, anche nella luce fioca, Cleo scorse macchie cremisi scure sulla manica. Il viso era un mosaico di lividi, un occhio gonfio chiuso.
Un’auto apparve nello specchietto retrovisore, veloce. La testa dell’uomo scattò in su, il terrore scritto in faccia. Provò a correre ma incespicò.
«Non farlo, Cleo», sussurrò. «Non stasera. Non quando sei all’ottavo mese.»
Ma stava già accostando.
Abbassò il finestrino di un dito e chiamò: «Tutto bene? Hai bisogno di aiuto?»
Lo sconosciuto si voltò di scatto, gli occhi sgranati dalla paura. Il sudore si mescolava al rosso scuro che colava da un taglio sopra il sopracciglio. «Devo solo arrivare in un posto sicuro.»
Il motore dell’auto in arrivo ruggì più forte.
«Sali!» Cleo sbloccò le portiere. «Ti porto in ospedale.»
Il tizio salì e si accasciò sul sedile posteriore mentre Cleo affondava il piede sull’acceleratore. I fari dell’auto alle spalle riempirono lo specchio.
«Ci stanno ancora seguendo», ansimò lui, abbassandosi. «Grazie. La maggior parte non si sarebbe fermata.»
Il cuore di Cleo martellava. «Tieniti forte.»
Svoltò a destra all’improvviso, poi di nuovo, zigzagando tra le stradine che conosceva a memoria. L’auto dietro rimaneva a distanza.
«Chi sono?» chiese, prendendo un’altra curva secca che costrinse il passeggero ad aggrapparsi alla maniglia.
«Più veloce… più veloce. Ci raggiungeranno…»
Un secondo paio di fari apparve davanti. Li stavano chiudendo in una morsa.
«Ti fidi di me?» domandò Cleo, già girando il volante.
«Cosa?»
Tagliò per un parcheggio abbandonato, strisciando sotto una sbarra semiabbassata. Le auto all’inseguimento non riuscirono a seguirla e il varco era appena sufficiente per il suo taxi.
«Due anni a scansare ubriachi che non volevano pagare», spiegò, controllando lo specchio. Nessun faro. «Non pensavo che quelle abilità mi sarebbero servite davvero stanotte.»
Il bambino diede un calcio forte, facendola sussultare.
«Sei incinta», disse lo sconosciuto, notando il suo disagio. «Dio, mi dispiace. Ho messo in pericolo entrambi.»
«A volte il rischio più grande è non fare niente.» Lo guardò negli occhi attraverso lo specchietto. «Io sono Cleo.»
«Grazie, Cleo. La maggior parte delle persone… mi avrebbe ignorato.»
«Già, beh, la maggior parte non ha ancora imparato quanto in fretta la vita possa cambiare.»
Dopo quella che parve un’eternità, arrivarono finalmente in ospedale. Prima di scendere, l’uomo le afferrò gentilmente il braccio.
«Perché ti sei fermata?» Il suo occhio buono le studiò il volto.
«Il mondo non è esattamente gentile con i tassisti, di questi tempi, soprattutto con quelli incinti che lavorano da soli di notte.»
Cleo ci pensò un attimo. «Stamattina ho visto una donna scavalcare un senzatetto in preda a una crisi. Non ha neanche interrotto la telefonata. Ho promesso a me stessa che non sarei diventata così… talmente spaventata dal mondo da dimenticare l’umanità.»
Lui annuì piano. «Non dovevi farlo. Perché quello che hai fatto stanotte… va oltre ciò che immagini.»
Cleo esitò un istante, incrociando il suo sguardo. Poi gli rivolse un piccolo, rassicurante sorriso.
Detto questo, si voltò e tornò verso il taxi. Mentre risaliva, gli lanciò un’ultima occhiata, sussurrando: «Cosa voleva dire?»
Il resto della notte fu una nebulosa. Cleo tornò a casa, cenò con qualcosa di semplice e diede da mangiare al gatto. Ma la mente era un groviglio, che ripassava all’infinito gli eventi mentre scivolava nel sonno.
La mattina seguente, un rombo di motori la strappò dal sonno. Chester abbandonò il suo posto sul cuscino, il pelo irto come se fosse stato messo all’angolo dal cane del vicino.
«Che c’è, Chester?» Cleo si tirò giù dal letto e rimase gelata alla finestra.
Una scorta di eleganti SUV neri, almeno una dozzina, occupava la sua strada modesta. Uomini in giacca scura e auricolare si muovevano con precisione militare, creando un perimetro intorno a casa sua.
«Oh Dio. Chi sono? Ieri notte ho aiutato un criminale?» ansimò Cleo.
Un bussare interruppe i suoi pensieri. Guardando dallo spioncino, vide tre uomini. Uno vestito in modo impeccabile con un abito costoso, un altro con l’auricolare e il terzo stranamente familiare.
«Impossibile», sussurrò, riconoscendo lo sconosciuto della notte precedente.
Addio vestiti strappati e macchie cremisi: indossava un abito impeccabile che probabilmente costava più dei suoi incassi mensili.
Aprì la porta con le mani tremanti.
«Signora!» Il primo uomo accennò un inchino. «Sono James, capo della sicurezza della famiglia Atkinson. Questo è il signor Atkinson e suo figlio, Archie, che lei ha aiutato ieri notte.»
Il mondo le girò. Gli Atkinson: la famiglia di miliardari il cui impero tech dominava i titoli dei giornali. Il loro figlio era stato rapito tre giorni prima, riscatto fissato a 50 milioni.
E lei lo aveva raccolto sul ciglio della strada.
«Mi hanno tenuto per tre giorni», spiegò Archie, seduto sul suo vecchio divano mentre Chester gli annusava le scarpe. «Quando mi hanno spostato ieri notte, ho visto l’occasione per scappare al distributore. Ma erano vicini. Se tu non ti fossi fermata…»
«Gli uomini che ti inseguivano», aggiunse suo padre, «sono stati catturati un’ora dopo che avevi lasciato Archie in ospedale. La tua prontezza non ha solo salvato mio figlio, ha aiutato a smantellare un pericoloso giro di rapimenti.»
Il signor Atkinson tese una busta. Dentro, un assegno che fece vacillare Cleo.
«Signore, è troppo. Io non posso—»
«È nulla rispetto a ciò che ha fatto», sorrise piano. «Lo consideri un investimento nel vostro futuro», disse lanciando uno sguardo al suo pancione. «Nessun bambino dovrebbe iniziare la vita chiedendosi come farà la madre a provvedere.»
Le lacrime colarono sulle guance di Cleo mentre Chester saltava in grembo ad Archie, facendo fusa rumorose.
«C’è di più», aggiunse Archie, sporgendosi in avanti. «Vogliamo che lei diriga la nuova iniziativa della nostra fondazione per la sicurezza della comunità. Il mondo ha bisogno di più persone che non hanno paura di fermarsi e aiutare. Persone come lei, Cleo.»
«Se avrà mai bisogno di qualcosa, ci chiami», disse il signor Atkinson porgendole un biglietto da visita, la voce colma di sincerità e gratitudine. «Le saremo per sempre debitori.»
Cleo sorrise e un flebile «Grazie!» le sfuggì dalle labbra mentre gli occhi si riempivano di gioia e sollievo.
Quando se ne andarono, sentì il peso degli ultimi mesi alleggerirsi. Per la prima volta da quando Mark se n’era andato, si concesse di credere che le cose potessero davvero andare bene.
Cleo guardò il suo ventre, sorridendo tra le lacrime. «Hai sentito, piccolino? Sembra che il lavoro notturno della mamma abbia appena avuto una promozione. E ci siamo riusciti semplicemente restando umani!»