Nel mezzo di una tormenta di neve, una ragazza incinta rimasta orfana bussava a ogni citofono, implorando qualcuno di chiamare un’ambulanza.

Durante una violenta tormenta di neve, una giovane orfana incinta avanzava a fatica nel gelo e nella bufera, quasi priva di sensi a causa del freddo pungente e delle fitte lancinanti. La neve cadeva così fitta da impedire qualsiasi visibilità.

Sveta era scesa dall’autobus alcune fermate prima, pensando di fermarsi al supermercato per comprare qualcosa per cena. Non si era accorta di quando fosse iniziata la tempesta: all’inizio una lieve spruzzata, poi il vento si era fatto sempre più forte, sollevando la neve in un turbine che accecava.

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Con fatica malediva la sua imprudenza: «Idiota! Tra due settimane parto, e io qui a inseguire l’idea di andare al cimitero! Morirò? Non arriverò? Oh, mamma, che dolore!»

Improvvisamente un dolore atroce le trafisse pancia e schiena: le contrazioni erano cominciate. «Proprio ora!» pensò, terrorizzata.

Frugando nelle tasche cercò il telefono, ma con orrore capì di averlo dimenticato a casa. «Che stupida!»

Il dolore cresceva, lei non riusciva quasi più a camminare, mani e piedi intorpiditi dal gelo. Tentò invano di chiamare aiuto ai pochi passanti, ma era notte e quelli sembravano non sentire o fingere di non vederla, affrettando il passo.

Disperata si rifugiò sotto il portico di un edificio e iniziò a comporre numeri a caso sul citofono, implorando qualcuno di aprirle.

«Per favore, chiamate un’ambulanza! Sto per partorire, apritemi!»

Finalmente una voce maschile rispose: «Aspetta, ti apro!»

Ma subito una voce femminile isterica gridò alle sue spalle: «Non aprire! Abbiamo già abbastanza problemi! Con questo tempo le persone normali stanno a casa, soprattutto le donne incinte! Che se la faccia qualcun altro! È sicuramente una senzatetto o una mendicante!»

Sveta scoppiò in lacrime. «Che mondo crudele… Perché è così difficile far chiamare un’ambulanza? Perché nessuno vuole aprire quella porta?»

Ormai non sentiva più mani e piedi, solo il bruciante dolore delle contrazioni le ricordava di essere viva. Le gambe cedettero e si lasciò cadere su un gradino.

In preda alla disperazione compose un altro numero, sussurrando tremante: «Vi prego… aprite… sto per morire…»

Aspettava il silenzio, l’indifferenza, la fine.

Ma stavolta accadde un miracolo.

Un uomo anziano, magro e fragile, coi capelli grigi, aprì in fretta la porta, indossando una giacca leggera sopra la camicia. Vedendo Sveta rannicchiata, gelata nel suo cappotto sottile e nelle scarpe inadatte, esclamò scioccato:

«Dio mio, signora! Che ti è successo? Chiamo subito un’ambulanza! Vieni dentro, rischi l’ipotermia! Chi mai si avventura in questo freddo in condizioni simili?»

Ma Sveta non poté rispondere: una contrazione più violenta la piegò in due, e il dolore la fece perdere i sensi.

L’uomo comprese subito la gravità. Spiegò ai soccorsi che una donna incinta era in travaglio davanti a casa sua e che avrebbe potuto partorire prima del loro arrivo. Con quella tempesta, avrebbe aspettato a lungo, così decise di agire.

Con grande fatica la portò dentro il suo appartamento al piano terra, la stese su una coperta a terra e le fece respirare ammoniaca per farla riprendere.

Quando Sveta tornò in sé, spaventata si aggrappò a lui balbettando:

«Grazie… grazie per avermi aiutata… Non sono una mendicante… Volevo solo… andare a trovare il mio fidanzato… al cimitero… Era il suo compleanno… Ho dimenticato il telefono… So che è stato stupido uscire con questo tempo… ma… oh Dio, sta ricominciando… cosa devo fare? Hai chiamato l’ambulanza?»

Il dolore la travolse di nuovo.

L’uomo, che si presentò come Fiodor Ivanovitch, annuì:

«Sì, cara, ho chiamato l’ambulanza, ma con questa tempesta ci metteranno tempo ad arrivare. Ascolta bene. Ti aiuterò a partorire. Fidati. Quando senti la contrazione, respira profondamente dal naso e spingi al mio segnale, ok?»

Sveta era nel panico: «Non conosco nemmeno quest’uomo, e lui mi aiuterà a partorire? E se qualcosa andasse storto?»

Ma non aveva scelta. Annui debolmente e fece come le diceva.

Con sorprendente calma e precisione, Fiodor Ivanovitch la assistette come un vero medico. In meno di un’ora un grido acuto ruppe il silenzio dell’appartamento.

Sveta singhiozzò tra gioia e stanchezza.

«È un maschietto!» esclamò Fiodor Ivanovitch avvolgendolo in una coperta.

Lo porse a Sveta, che lo strinse a sé piangendo.

«Grazie… grazie, sei il mio angelo custode… Lo chiamerò Fedia, in tuo onore…»

Finalmente arrivò l’ambulanza. I medici, stupiti che quell’uomo anziano avesse gestito un parto d’emergenza, lo ringraziarono calorosamente.

Ma un dettaglio li colpì:

«Aspetti… sei davvero Fiodor Zvonkov? Il famoso chirurgo cardiaco?»

L’autista dell’ambulanza saltò in piedi riconoscendolo:

«Sei tu? Hai salvato la vita a mia nipote anni fa! Ma cosa fai qui?»

Fiodor sorrise tristemente:

«Ah… è una lunga storia…»

Abbassò lo sguardo su Sveta e il piccolo e mormorò:

«Forse la vita mi ha finalmente offerto una seconda possibilità.»

E quel giorno cambiò tutto per entrambi.

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