Il mio compagno mi ha lasciata nel bel mezzo della vacanza, abbandonando anche le sue due figlie gemelle. Ha lasciato solo un biglietto con poche parole: «Devo sparire. Un giorno capirai il perché».

Tre anni fa conobbi Matvej. Aveva due splendide gemelline, Eva e Sonia, allora di appena cinque anni. Non ero mai stata madre, ma il loro sorriso e la loro dolcezza riuscirono a conquistarmi subito. Quest’anno, con grande emozione, Matvej mi chiese di sposarlo e iniziammo a pianificare il matrimonio. Prima che la frenesia dei preparativi ci travolgesse, lui propose di concederci una vacanza insieme.

I primi giorni furono un sogno: mare, sole, risate, momenti sereni in famiglia. Ma al terzo giorno tutto cambiò.
Dopo la piscina, rientrai in camera con Eva e Sonia… e trovammo un vuoto spiazzante: la valigia di Matvej e ogni suo oggetto erano spariti. Il cuore mi si gelò. Sul comodino, un biglietto scritto da lui:
«Ho bisogno di sparire. Presto capirai tutto.»

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Rimasi pietrificata. Perché ci aveva abbandonate? Come avrei spiegato tutto alle bambine? Non so come, ma trovai la forza di organizzare il rientro. Il viaggio verso casa fu avvolto in una nebbia di paura e incredulità.

Quando aprii la porta di casa, un urlo mi uscì di bocca: al centro del soggiorno, avvolto in una coperta, c’era un pacco misterioso. Sopra, un biglietto:
«Nascondi questo. Mi dispiace averti coinvolta. Ti prego, fidati di me ancora una volta.»

Dentro la coperta trovai una valigetta di metallo, chiusa a chiave e senza combinazione. Il mio primo impulso fu chiamare la polizia, ma temevo per la sicurezza di Eva e Sonia. Così la nascosi in fondo all’armadio, cercando di condurre la vita di sempre, anche se nella mia mente si accavallavano mille domande.

Per settimane provai a rintracciarlo: niente movimenti bancari, nessuna chiamata, nessun messaggio. Era come se fosse scomparso dalla faccia della terra. Perfino suo fratello Stepan disse di non sapere nulla, ma nei suoi occhi lessi che non mi stava dicendo tutto.

Una notte, Eva si svegliò piangendo per un incubo. Nel dormiveglia, mormorò:
«Papà ha detto… di non parlare… della scatola d’oro sotto il vecchio treno.»

Il respiro mi si fermò.
La mattina dopo, le chiesi con cautela:
— Tesoro, cosa intendeva papà?
Lei scrollò le spalle:
— Ha detto che è un gioco segreto. Dalla casetta estiva. Ma non ci siamo mai andati.

Una casetta estiva? Matvej non ne aveva mai parlato. Feci ricerche e scoprii che possedeva una piccola casa sul lago, a due ore da lì, comprata in contanti. Decisi di andarci con le bambine, dicendo loro che sarebbe stata una piccola avventura.

La casetta era silenziosa, polverosa, ma ordinata. Fotografie delle gemelle fin dalla nascita e un quadro dipinto da Matvej — un tramonto sul pontile. Dietro la casa, vidi vecchi binari che si perdevano nel bosco. Li seguii fino a un capanno in rovina. Sotto le assi marce del pavimento, in una scatola di latta, trovai una chiave.

La chiave della valigetta.

Tornai a casa in uno stato di agitazione. Mentre le bambine dormivano in auto, continuavo a guardarmi alle spalle. Una volta a casa, con le mani tremanti, aprii la valigetta: documenti, vecchie foto, mazzette di banconote. In fondo, un badge con un nome diverso: «Martin Vale» e il logo di un’azienda sconosciuta.

Lessi e rilessi quei fascicoli: rapporti, appunti, materiale compromettente. Matvej — o Martin — lavorava per un’organizzazione di intelligence privata, e stava cercando di smascherare qualcuno. Sull’ultima cartella c’era un post-it:
«Se mi succede qualcosa, questo è ciò che vogliono nascondere. Mostralo solo a Stepan.»

Così feci. Lo raggiunsi, gli consegnai la valigetta e chiesi:
— Non m’importa cosa contenga. Voglio solo sapere: le bambine sono al sicuro?
Lui annuì:
— Matvej ha fatto tutto per proteggerle. E anche per proteggerti.

— È vivo? — domandai con la voce rotta.
Stepan esitò e disse soltanto:
— Non cercarlo. Tornerà quando sarà il momento.

Passarono mesi. La vita ricominciò a scorrere. Eva e Sonia tornarono a scuola, io iniziai a lavorare per un’associazione che aiuta le madri sole. Non sopravvivevo più soltanto: vivevo, per loro e, forse, un po’ anche per me.

Questa mattina, nel giorno del compleanno di Sonia, trovai una cartolina nella cassetta della posta. Nessun francobollo, nessun indirizzo. Solo il disegno di un tramonto sul pontile. Dentro, poche parole:
«Buon compleanno, piccola stella. Sono orgoglioso di te. Sto bene. Con amore, papà.»

Scoppiai a piangere, senza riuscire a fermarmi per dieci minuti.

Non so se Matvej tornerà mai. Ma adesso so che, a volte, proteggere chi ami significa restare lontano. Anche se spezza il cuore. La vita non sempre rivela subito le sue ragioni, ma un giorno tutto trova il proprio posto.

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