Per trent’anni ho vissuto nella convinzione di essere stata adottata, abbandonata da genitori incapaci di occuparsi di me. Poi, una semplice visita all’orfanotrofio ha demolito ogni certezza che avevo sul mio passato.
Sono cresciuta credendo a ciò che mio padre mi aveva raccontato quando avevo appena tre anni: ero un’orfana accolta da lui e da mia madre adottiva. Poco dopo, però, lei morì. Mi restano solo brandelli di ricordi: il suo sorriso dolce, il calore delle sue mani. Da allora siamo rimasti io e papà, soli contro il mondo.
Ma la sua presenza non fu mai un conforto. Ogni difficoltà diventava occasione per ricordarmi che non ero davvero sua figlia. «Chissà da chi hai preso questo difetto», diceva con sarcasmo. O ancora: «Dovresti ringraziare me, che ti ho tenuta». Un giorno, davanti a tutto il vicinato, dichiarò che ero adottata. Il mattino dopo, a scuola, mi chiamavano “orfanella”. Io piangevo, lui scrollava le spalle: «Sono solo bambini». Ai miei compleanni mi portava perfino all’orfanotrofio, ripetendo quanto fossi “fortunata” rispetto agli altri.
Ho passato trent’anni a credermi indesiderata. Poi è arrivato Matt, il mio compagno. Fu lui a incoraggiarmi a cercare la verità: «Forse scoprire chi sono i tuoi genitori biologici ti darà pace». All’inizio rifiutai, ma alla fine cedetti.
Qualche settimana fa siamo andati insieme all’orfanotrofio. La donna alla reception sfogliò i registri e, con tono gentile, ci disse: «Non c’è nessuna traccia di lei qui». Le gambe mi cedettero.
Corremmo subito da mio padre. Appena gli raccontai, scoppiando in lacrime, che non risultavo mai stata in quell’istituto, lui rimase immobile, quasi di pietra. Poi sussurrò soltanto: «Entra».
Seduti in salotto, abbassò lo sguardo e mormorò: «Non sei adottata. Sei figlia di tua madre… ma non mia. Lei mi ha tradito. E tu sei il frutto di quella relazione».
Quelle parole mi trafissero. «Mi hai fatto vivere tutta la vita con una bugia?»
«Ero ferito», confessò. «Ogni volta che ti guardavo vedevo solo il suo inganno. Così ho inventato la storia dell’adozione. Ho persino falsificato i documenti, con l’aiuto di un amico. Non avresti dovuto pagare per i miei rancori… ma non ho saputo fare di meglio».
Le lacrime mi offuscavano la vista. Tutti gli anni di prese in giro, di visite all’orfanotrofio, di parole taglienti — non avevano nulla a che fare con me. Ero stata la sua vittima, non la causa.
«Ero solo una bambina», sussurrai. «Non meritavo questo».
«Lo so», disse con la voce spezzata. «Ti ho fatto del male, e non potrò mai rimediare».
Mi alzai, tremando. «Non resterò qui a consumarmi in queste menzogne. Quando arriverà il momento, ti assicurerò che non ti manchi nulla. Ma io me ne vado».
Matt mi prese per mano e mi guidò verso l’uscita. Mentre chiudevo la porta alle mie spalle, sentii mio padre gridare: «Mi dispiace! Ti prego, perdonami!»
Ma non mi voltai indietro.