Alle sei e trenta Marina spalancò gli occhi, benché la sveglia fosse puntata alle otto. Il sonno le scivolò via di colpo: era il compleanno di Andrey e, la sera, sarebbero arrivati i suoi ex compagni di corso con le rispettive mogli. Quattro coppie in tutto. Otto persone. Nella testa iniziò a scorrere la lista: mettere in ordine casa, fare la spesa, preparare i contorni, infornare la carne, montare la torta…
«Andryush…» chiamò piano il marito. Lui, però, si infilò ancor di più nel cuscino.
Marina si alzò con cautela, indossò l’accappatoio e andò in cucina. Fuori un ottobre mite lasciava cadere una pioggerellina sottile; nell’alba quieta l’appartamento pareva più caldo del solito. Mise su l’acqua per il tè e buttò giù un programma dettagliato per la giornata. La lista incuteva rispetto.
Alle otto, finalmente, Andrey comparve in cucina: spettinato, l’aria stropicciata.
«C’è caffè?» borbottò, lasciandosi cadere sulla sedia.
«Te lo faccio subito. Senti, Andryush, potresti uscire prima dall’ufficio e darmi una mano? C’è davvero moltissimo da fare; gli ospiti arrivano alle sette.»
«Oh, Marish, su… Che ci vuole? Due insalatine, la carne in forno… Tu sei bravissima a ricevere, lo sai.»
Marina tacque mentre gli versava il caffè. “Bravissima padrona di casa”. Come se fosse una carriera scelta da lei.
«Almeno passa l’aspirapolvere mentre non ci sono» chiese poi, senza alzare lo sguardo.
«Vedremo» rispose lui già immerso nel telefono. «Che menù hai pensato?»
Lei elencò: insalata russa, Caesar, carne alla francese, qualche antipasto e torta Napoleon.
«Ottimo. Non scordare un vino serio… e del cognac. A Dimka piace il cognac.»
Andrey scolò l’ultima goccia, sparì in bagno e mezz’ora più tardi era già fuori, urlando dall’ingresso: «Ci vediamo stasera!»
La casa rimase in silenzio. Solo Marina e la sua lista.
Alle due del pomeriggio le tremavano le ginocchia. L’appartamento brillava, la spesa era fatta, le insalate condite, la carne pronta da infornare. Mancava la parte più insidiosa: la Napoleon con la crema della nonna — infallibile, sì, ma lunga e pignola.
La sfoglia le imbiancò mezza cucina. La crema impazzì al primo tentativo e dovette rifarla. Le mani le vibravano quando, alla fine, iniziò ad alternare i dischi e gli strati di crema.
Alle cinque Andrey rientrò, diede un’occhiata al caos e rise: «Sembra scoppiata una bomba! Non hai esagerato un filo?»
«Può darsi» rispose lei, spalmando l’ultimo strato. «Puoi lavare i piatti? Io devo farmi una doccia.»
«Eh no, è il mio compleanno! Devo sistemarmi anch’io. I piatti aspettano.»
Marina lo seguì con lo sguardo mentre lui, canticchiando, spariva verso la camera. Poi guardò l’orologio: le 17:40. Lavò il minimo indispensabile, coprì la torta con la pellicola e corse sotto la doccia. Via sudore e stanchezza, capelli asciugati di fretta, il suo vestito blu preferito, un trucco leggero.
Alle sette il campanello suonò.
Arrivarono per primi Dima e Lena. Impeccabile lei: piega perfetta, trucco da salone, abito da cocktail e tacchi vertiginosi. Lanciò a Marina uno sguardo che valutava e sentenziava in una frazione di secondo, poi sorrise:
«Marina, oggi sei… molto casalinga.»
«Ho cucinato tutto il giorno» rispose lei, prendendo il mazzo di fiori.
«Capisco. Dove lascio il cappotto?»
Nel giro di dieci minuti erano tutti lì. Le mogli parevano uscite da un editoriale di moda: capelli, unghie, tessuti — tutto studiato. Marina si sentì una Cenerentola senza fata madrina.
A tavola si parlò subito di lavoro, macchine, viaggi. Gli uomini si accesero sulle notizie del giorno, le donne intervennero a colpi di shopping e trattamenti estetici.
«Marina, la tovaglietta?» la richiamò Dima.
«Subito.»
«E del pane, grazie» aggiunse Igor.
«E la senape per la carne» fece Sergey.
Marina faceva la spola tra cucina e sala, esaudendo richieste a catena. Intanto osservava: Lena, perfetta in ogni dettaglio, impugnava la forchetta come una pala; Tanya, la moglie di Igor, parlava con la bocca piena seminando briciole; Irina, signora di Sergey, già al secondo piatto rideva forte delle proprie battute, che non facevano ridere nessuno.
«Marina, puoi sparecchiare?» disse Andrey quando i secondi furono finiti. «E tira fuori la torta: è il momento!»
Lei raccolse i piatti in silenzio, li portò in cucina. Le mani le tremavano per la fatica. Sistemò le candeline sulla Napoleon e le accese.
«Tanti auguri a te…» intonarono in coro quando rientrò con il dolce.
Andrey soffiò tra applausi e battiti di mani. Marina iniziò a tagliare fette ordinate.
«Oh, Napoleon!» esclamò Dima. «Marina, sei un fenomeno!»
«Davvero buona» concesse Lena, per poi aggiungere: «Io non perderei mai tempo con una torta così impegnativa. La comprerei, più semplice.»
«Il fatto in casa è un’altra cosa» intervenne Igor.
«Certo che è meglio» annuì Sergey, fissando Marina. «Peccato che tu, Marina, per una festa simile potevi truccarti di più. Un marito andrebbe onorato anche con l’impegno… estetico.»
Il silenzio cadde di botto. Marina restò con il coltello a mezz’aria. Andrey tossicchiò.
«Su, Serëga…» provò lui.
«No, non “su”» disse Marina, piano ma nitida. Alzò gli occhi, guardò Sergey e poi gli altri. «Prima imparate l’educazione a casa vostra, e poi venite a dar ordini in casa d’altri.»
Il gelo. Lena arrossì, Tanya smise di masticare, Irina sbatté le palpebre, confusa.
«Marina, ma…» iniziò Andrey.
Lei si tolse il grembiule con calma e lo lasciò cadere sul tavolo, proprio sopra la torta.
«Non ho nessuna intenzione di restare in compagnia di persone sgradevoli. E meno ancora di servirle.»
Prese la borsa e si avviò verso la porta.
«Marina, dove vai?» chiese Andrey, spiazzato.
«A fare un giro» rispose, infilando l’impermeabile. «Divertitevi. I piatti li laverete voi.»
La porta si richiuse secca.
Fuori la pioggia s’era fatta più fitta. Marina attraversò il parco sui vialetti lucidi; ad ogni passo respirava meglio. Si aspettava imbarazzo, rimorsi. Invece sentiva solo leggerezza.
Nel centro commerciale c’era calore e un brusio continuo. Camminò tra le vetrine, sfiorando abiti che di solito non avrebbe nemmeno provato: troppo vistosi, troppo costosi, troppo “non da lei”. In libreria comprò un romanzo che rimandava da mesi. Al bar ordinò un cappuccino e un dolce; mangiò piano, senza controllare l’orologio, senza la sensazione di dover correre a mettere una lavatrice o rimestare una pentola.
Rientrò verso le dieci e mezza. L’appartamento la accolse con il disordine: bicchieri, piatti, briciole, vino rovesciato, il grembiule a metà del tavolo. Andrey, imbronciato, fissava la TV dalla poltrona.
«Grazie dello spettacolo» disse senza girarsi. «Se ne sono andati mezz’ora dopo la tua scenata. Ti pare sia stato facile per me?»
«E per me credi lo sia stato?» ribatté lei, togliendosi l’impermeabile.
«Sei la padrona di casa. È tuo dovere ricevere gli ospiti!»
«Il mio dovere?» alzò la voce. «E il tuo qual è? Sederti e impartire ordini?»
«Era il mio compleanno!»
«E quindi? Questo ti autorizza a trasformarmi in una serva?»
Andrey scattò in piedi. «Che ti prende? Prima non eri così!»
«Prima stavo zitta. Adesso basta.»
«Tutte le mogli fanno la loro parte, e tu…»
«Io cosa avrei fatto di male, esattamente?»
«Sei diventata insolente! Hai offeso gli ospiti, mi hai messo in imbarazzo!»
Marina lo guardò: rosso, agitato, sicuro di sé. Dentro di lei qualcosa fece un rumore secco, come uno scatto.
«Sai che c’è, Andrey?» disse piano. «Prepara le tue cose.»
«Cosa?»
«Vai da tua madre per qualche giorno. Pensa a chi ha mancato di rispetto a chi.»
«Mi stai cacciando da casa tua?»
«Ti sto chiedendo di andartene e di non tornare finché non avrai capito.»
Lui rimase a bocca aperta. «Marish, parli sul serio?»
«Come non mai.»
Abbozzò una risposta, poi il suo sguardo lo fece tacere. Dopo mezz’ora uscì con una valigia, sbattendo la porta così forte da far vibrare i vetri.
Marina rimase sola tra piatti sporchi e briciole. Mise su l’acqua per il tè e prese il romanzo nuovo. I piatti potevano aspettare domani. O anche oltre.
Per la prima volta dopo anni avrebbe letto prima di dormire, invece di pianificare il giorno dopo. Quella sensazione di libertà valeva ogni litigio.
Il telefono vibrò: numero sconosciuto. «Marina, sono Lena. Scusa per Sergey. Ha esagerato. Hai fatto bene a rispondergli.»
Marina sorrise e posò il cellulare. Il bollitore cominciò a fischiare.