Credeva che la sua ex moglie, ormai scomparsa, avesse avuto un solo figlio; poi si ritrova davanti il ritratto vivente di sua figlia.

La prima settimana nella nuova scuola di Los Angeles, Sophie ebbe l’impressione di essere entrata in uno di quei sogni strani in cui il mondo ti restituisce il tuo stesso volto. Appena varcata la soglia della classe, i bambini smisero di parlare; qualcuno indicò il fondo dell’aula e un ragazzino esclamò: «È il clone di Sandra!».

Sophie seguì gli sguardi e la vide: una bambina bionda, con gli stessi occhi, la stessa fossetta sul mento, perfino il modo identico di arricciare le dita della gonna quando era nervosa. Sandra si alzò di scatto, spalancando la bocca in un sorriso incredulo. «Wow! Ma siamo uguali!»

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«Sì… ma com’è possibile? Io non ho sorelle,» mormorò Sophie.

«Neanch’io. Sono solo io e la mia mamma.» Le prese la mano con naturalezza. «Vieni a sederti vicino a me.»

L’insegnante, la signorina Carr, presentò la nuova alunna e cercò di riprendere la lezione sulle rane; ma il brusio divertito della classe si placò soltanto quando le due bambine, una accanto all’altra, cominciarono a ridacchiare come se si conoscessero da sempre. A ricreazione, scoprirono di amare entrambe i libri illustrati, il gelato alla fragola e gli scivoli altissimi che fanno volare lo stomaco. Si scambiarono merende e promesse: «Domani sediamo di nuovo insieme?».

Quella sera, quando Henry andò a prenderla, sua figlia parlò senza prendere fiato: «Papà, ho conosciuto una bambina che è me. Cioè… sembra me. Si chiama Sandra. Devi vederla!».

Henry sorrise, pensando a una somiglianza curiosa e all’immaginazione di una bambina di sette anni. Ma nei giorni successivi Sophie non fece che parlare di Sandra, della loro “telepatia” (dicevano la stessa cosa nello stesso momento), del fatto che a entrambe tremava la voce quando leggevano ad alta voce. Alla fine decise: era ora di conoscere quella bambina e sua madre.

Si diedero appuntamento in un McDonald’s vicino alla scuola. Quando Sandra e la madre, Wendy, entrarono, Henry restò di sasso. La somiglianza non era “grande”: era impressionante. Wendy, a sua volta, trattenne il respiro vedendo Sophie. «Oh, cielo… siete davvero due gocce d’acqua.»

Le bambine corsero verso l’area giochi. Gli adulti si sedettero in una cabina.

«Sono Henry, il papà di Sophie.»

«Wendy. Piacere.»

Per qualche secondo guardarono le due bambine ridere sotto la struttura di plastica. Poi Wendy disse, quasi tra sé: «Ho sempre letto di sosia… ma qui deve esserci dell’altro.»

Henry la guardò interrogativo.

«Sandra… non lo sa ancora, ma è adottata.»

L’uomo deglutì. «Capisco. Sophie è mia figlia biologica. La mia ex moglie, Irene, è morta un anno fa. Da allora siamo solo noi due. Ci siamo trasferiti qui da Dallas per lavoro… e per ricominciare.»

Wendy rimase un attimo in silenzio. «Credo che anche Sandra sia nata in Texas,» disse piano. «Voglio ricontrollare il certificato, ma ricordavo Dallas. Secondo te è possibile che…?»

«Che ci fossero due bambine?» Henry sgranò gli occhi. «Io… non so. Non ero con Irene al momento del parto. Mi chiamò quando era già tornata a casa con Sophie. Non ci parlavamo molto in quel periodo.»

«A volte,» mormorò Wendy con tatto, «la vita costringe a scelte che sembrano impossibili.»

Le parole rimasero sospese tra di loro. Poi le bambine tornarono, affamate e raggiante­mente felici, e la conversazione si interruppe.

Quella notte Henry non dormì. La possibilità che Irene avesse partorito due gemelle lo colpiva come un’onda fredda. Ricordava vagamente ecografie, appuntamenti saltati, discussioni. Ricordava soprattutto la propria assenza. Il mattino dopo prenotò un volo per il Texas. Lasciò Sophie da Wendy — le bambine erano inconsolabili all’idea di separarsi, ma il giorno dopo avrebbero di nuovo giocato insieme — e partì.

All’ospedale di Dallas, dopo ore di corridoi e uffici, una caposala gentile sfogliò vecchi registri digitalizzati. «Irene Douglas…» mormorò. «Parto gemellare. Due femmine. Una delle neonate è stata registrata per l’adozione privata lo stesso giorno.»

Henry dovette sedersi. Aveva la conferma che non avrebbe più potuto chiedere a Irene il perché. Forse l’aveva delusa troppo. Forse si era sentita sola, spaventata. Forse aveva creduto di non farcela con due bambine e con un compagno che all’epoca non c’era. Non c’era più niente da cambiare, ma qualcosa poteva ancora essere riparato.

Tornò a Los Angeles con il documento dell’ospedale e il cuore in tempesta. Wendy accettò di fare il test del DNA per Sandra. Il risultato arrivò: compatibilità completa con Sophie. Erano gemelle.

Si riunirono tutti e quattro attorno al tavolo della cucina di Wendy. Henry parlò con voce calma: «Sandra, devo dirti una cosa importante. Sei stata adottata quando eri molto piccola. E oggi abbiamo scoperto che tu e Sophie siete sorelle gemelle.»

Per un istante fu silenzio. Poi le due bambine si guardarono e scoppiarono in un urlo di gioia, abbracciandosi e saltellando: «Siamo sorelle! Siamo sorelle!». Henry e Wendy risero, contagiati dalla loro luce.

Restava, però, la parte da adulti: cosa fare adesso? Henry prese la parola per primo: «Wendy, non ho nessuna intenzione di separare te e Sandra. Sei sua madre. Io vorrei esserci — come padre — se tu lo permetti. E vorrei che anche Sophie avesse una figura materna vicino, se ti andasse di far parte della sua vita.»

Wendy annuì, commossa. «Possiamo costruire qualcosa insieme. Senza fretta, ma insieme.»

Stabilirono una co-genitorialità gentile e pratica: calendari condivisi, cene del giovedì tutti insieme, weekend alternati con attività “da sorelle”, vacanze estive pianificate a quattro mani. Le bambine furono quelle che si adattarono meglio: per loro non c’era burocrazia, solo la meraviglia di ritrovarsi.

Un giorno, mentre sparecchiavano, Sophie guardò il padre: «Papà, perché non sposi Wendy? Così sarebbe la mia mamma anche sulla carta.»

Henry sorrise con tenerezza. «È complicato, tesoro. Ma capisco cosa intendi.»

Non avevano fretta; eppure, a poco a poco, le giornate condivise divennero abitudini, le abitudini diventarono famiglia. Quando le gemelle compirono dodici anni, Henry e Wendy celebrarono un matrimonio semplice, in un giardino pieno di lucine. Sandra e Sophie furono damigelle, identiche negli abiti come nel sorriso.

Cosa resta da imparare?

Il passato non si riscrive, ma può essere riparato: Henry non ha potuto cambiare le sue assenze di allora, però ha scelto di essere presente ogni giorno dopo la verità.

Le coincidenze a volte sono ponti: un trasferimento, una nuova scuola, un incontro al McDonald’s… e due sorelle si ritrovano.

La famiglia è una scelta quotidiana: fatta di parole sincere, responsabilità condivise e tavoli apparecchiati per uno in più.

Condividere storie così non è solo “allegrare la giornata”: è ricordarci che, anche quando qualcosa si spezza, è ancora possibile costruire — con cura, insieme — una forma nuova di casa.

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