Il mio facoltoso fidanzato ha preso in affitto un modesto appartamento finto, solo per verificare se fossi davvero sincera nei suoi confronti.

Dicono che certe storie d’amore siano scritte nelle stelle.
La nostra, invece, è stata scritta in un caffè rovesciato, in battute pungenti e in una rivelazione capace di ribaltare tutto ciò che credevo di sapere sul mio ragazzo — che aveva scelto il modo più estremo per mettere alla prova la mia fedeltà.

Conobbi Jack un anno fa, nel modo meno romantico possibile: rovesciandogli addosso un intero bicchiere di caffè freddo e inondando una pila di documenti ordinati con maniacale precisione. Io, rossa in volto, armeggiavo con i tovaglioli per limitare i danni, mentre lui si limitò a sorridere e dire:
— Forse è il destino che mi dice di prendermi una pausa.

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— Oddio, scusami! — balbettai. — Giuro che non sono sempre così maldestra. Beh… bugia, lo sono eccome.

Lui rise, con quegli occhi che si piegavano agli angoli.
— Allora è meglio che metta in salvo il resto dei fogli, prima che arrivi un’altra “doccia” di caffè.

E così, tra una risata e l’altra, finimmo per sederci allo stesso tavolo. Chiacchierammo per ore. Niente mosse da film, niente frasi studiate. Solo due persone che si raccontano, come se si conoscessero da sempre.

Fin da subito, Jack preferì vederci a casa sua. Pensai fosse per via della mia coinquilina, allergica agli ospiti, e non ci feci troppo caso. Ma il suo “nido d’amore” era… caratteristico: un monolocale minuscolo, in un palazzo vecchio, con un riscaldamento capriccioso e un divano che sembrava sopravvissuto a tre guerre e due traslochi.

— Questo divano è il pezzo forte — disse una sera, dandomi un colpetto d’orgoglio. — È un materasso di lusso travestito.

Mi ci sedetti e una molla mi punse la schiena.
— Jack, questo coso sta cercando di uccidermi.

Lui rise. — Dagli una possibilità. Ti ci affezioni.

— Come alla muffa? — replicai.

— Ehi, un po’ di rispetto per Martha. —

— Hai dato un nome al divano?

— Fa parte della famiglia.

E io, nonostante tutto, mi trovavo bene lì. Non cercavo lusso, mi piaceva Jack per com’era.

Poi arrivò il nostro primo anniversario. Io mi aspettavo una serata casalinga con candele e film romantico. Invece, aprendo la porta, lo trovai appoggiato a un’auto da sogno, con in mano un enorme mazzo di rose.

— Buon anniversario, amore — disse.

Pensai stesse scherzando, ma non rideva. Ed è lì che arrivò la bomba: Jack non era un modesto impiegato. Era l’erede di un impero milionario. L’appartamento fatiscente? Un affitto temporaneo per capire se lo amavo per lui e non per i soldi.

Restai a fissarlo, incredula.
— Hai finto di essere povero per un anno?!

Lui annuì.
— Dovevo essere sicuro.

Così gli tolsi le chiavi dell’auto dalla mano.
— Bene. Ora guidiamo. Se quello che ti mostro non ti spaventa, la risposta è sì.

Lo portai fuori città, davanti a un cancello di ferro imponente. Digitai un codice e, dietro, si rivelò una villa con giardini, fontane e un labirinto di siepi.

Jack rimase a bocca aperta.
— Sei… ricca?

— Molto — risposi.

Ci guardammo e scoppiammo a ridere: lui aveva testato me, io avevo testato lui. E a quanto pare, entrambi avevamo passato la prova.

Sei mesi dopo eravamo sposati. E ogni volta che ricordiamo quell’anno passato tra divani rotti, fornelli traballanti e ramen istantaneo, ci rendiamo conto che la nostra storia non parla di soldi o status.
Parla di due persone abbastanza folli da ridere dei propri segreti… e innamorarsi ancora di più proprio grazie a quelli.

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