Nel preciso istante in cui la musica ha cominciato a suonare, la nostra damigella d’onore – mia figliastra – era svanita. La cerimonia si è fermata all’improvviso. Poco dopo l’abbiamo trovata chiusa a chiave in un armadio, in lacrime, ancora con il suo bouquet stretto al petto. Quando ha indicato chi l’aveva rinchiusa lì dentro, nessuno di noi era pronto alla verità.
Quando ho conosciuto Amelia aveva appena sei anni: grandi occhi castani, un sorriso timido e una cautela che le veniva dal dolore. Sua madre era morta quando lei era ancora una bambina, e per lei lasciar entrare qualcun altro nella sua vita non era facile.
Ma pian piano, tra favole raccontate prima di dormire e pasticci in cucina finiti con entrambe coperte di farina, Amelia ha iniziato a fidarsi di me.
Non dimenticherò mai la sera in cui mi lasciò pettinare i suoi lunghi capelli neri per la prima volta. Mentre cercavo di sciogliere i nodi con delicatezza, mi sussurrò:
— Spero che tu resti per sempre.
Il cuore mi si strinse. — Lo spero anch’io, tesoro.
Due anni più tardi, quando io e suo padre ci siamo fidanzati, la sua gioia era incontenibile. Finalmente avrebbe avuto di nuovo una mamma… e la possibilità di vivere il sogno di ogni bambina: partecipare a un matrimonio.
«Devi lasciarmi fare la damigella d’onore», aveva detto, tirando fuori il suo blocchetto rosa per disegnare già l’abito perfetto.
Non ha perso nemmeno una prova o un incontro di preparativi, stringendomi la mano con l’orgoglio di chi sa di avere un ruolo importante. E quel ruolo era suo. Lei era mia, e io ero sua.
Il giorno delle nozze arrivò con una luce dorata di settembre. Amelia danzava per la stanza nel suo vestitino bianco con la fascia rosa pallido, che aveva imparato a portare con fierezza dopo mesi di prove davanti allo specchio.
«Sei nervosa?», mi chiese, osservandomi mentre mi sistemavano il rossetto.
«Un po’,» ammisi.
Lei scrollò le spalle: «Io no. Ho provato la mia camminata mille volte. Guarda!»
Eppure, quando la musica partì e io alzai gli occhi verso l’ingresso, non vidi Amelia.
Al suo posto c’era Emma, la figlia di mia cognata, appena tre anni, con una coroncina di fiori che le scivolava sugli occhi e un cestino che teneva storto, quasi senza spargere petali.
Un gelo mi attraversò. Non era previsto.
David, il mio futuro marito, dal fondo della navata mi lanciò uno sguardo carico d’ansia. «Dov’è Amelia?» lessi sulle sue labbra.
In pochi secondi il panico si diffuse. La cerimonia si fermò, parenti e amici si dispersero alla ricerca della bambina. E poi… un rumore. Un lieve bussare proveniente da dietro una porta chiusa, lontana dalla sala.
Ci precipitammo tutti in un corridoio dietro la cucina. Una porta di legno, serrata a chiave. Quando finalmente riuscimmo ad aprirla, la scena ci paralizzò.
Amelia era lì dentro, rannicchiata in un angolo, gli occhi pieni di lacrime, il trucco colato sulle guance. Stringeva il cestino di fiori come se fosse un’ancora di salvezza.
Le corsi incontro senza pensare all’abito. «Piccola mia… adesso sei al sicuro.»
Lei singhiozzava sulla mia spalla, sussurrando: «Perché? Io non ho fatto nulla di male.»
Poi alzò il dito tremante e indicò qualcuno tra gli invitati. Quando vidi chi era, il respiro mi si fermò.
Amelia aveva puntato sua zia, Mélanie.
Il silenzio si fece pesante. Mélanie incrociò le braccia, fingendo indifferenza. «State esagerando.»
«Ha nove anni! Era terrorizzata!» urlai con una rabbia che non avevo mai provato.
E lei, senza più maschere, sputò le sue parole velenose: «Non è neppure tua figlia. Emma meritava di essere al centro dell’attenzione. Per una volta.»
Gli sguardi di disgusto degli invitati la inchiodarono. La verità era nuda e cruda: aveva rinchiuso una bambina per dare a sua figlia il ruolo da protagonista.
Fu portata via tra i mormorii indignati, mentre Amelia si aggrappava ancora a me, tremante ma con una nuova luce negli occhi.
«Vuoi continuare?» le chiesi, accarezzandole il volto.
Lei annuì con coraggio.
La musica ricominciò. Questa volta Amelia avanzò lungo la navata tra applausi e lacrime degli invitati. Non era solo la mia damigella d’onore: era la bambina più coraggiosa che avessi mai conosciuto.
Quando arrivò all’altare, sussurrò con orgoglio: «Ce l’ho fatta.»
David le prese la mano, insieme alla mia. «Siete state incredibili», disse con gli occhi lucidi.
Quel giorno avrebbe potuto essere ricordato per un gesto meschino. Invece, tutti lo avrebbero ricordato per l’amore e la forza che ci hanno uniti.
E Amelia, per mesi, tenne quel cestino di fiori accanto al letto, ripetendo ogni sera: «Ti ricordi quando sono stata la damigella più coraggiosa di sempre?»
E io le rispondevo sempre: «Come potrei dimenticarlo?»