«Potresti farmi un favore e ballare con me? Il mio ex non smette di fissarmi.»
Fu tutto lì, in quella frase sussurrata a uno sconosciuto, che la serata di gala prese una piega completamente diversa.
I lampadari del Grand Meridian Hotel brillavano come galassie intrappolate nel soffitto, riflettendo abiti da sera, sorrisi allenati e strette di mano troppo studiate. Lo champagne scorreva in flussi dorati, e nell’aria aleggiava quell’energia tipica dei grandi eventi di New York: elegante in superficie, spietata sotto pelle.
Olivia Mitchell lisciò il tessuto lucido del suo abito verde smeraldo, cercando di domare la tensione che le faceva tremare le dita. Aveva lavorato anni per arrivare lì. Quella era la sua prima apparizione ufficiale come nuova direttrice marketing di Archer Industries, una delle realtà più influenti della città.
Avrebbe dovuto sentirsi al settimo cielo.
Invece, il sangue le si gelò.
Dall’altra parte della sala, vicino all’orchestra, riconobbe immediatamente quel profilo. Ryan Cooper, il suo ex. Camicia immacolata, sorriso da copertina, gesti sicuri mentre chiacchierava con un gruppo di dirigenti. Gli stessi occhi freddi che avevano analizzato ogni sua insicurezza, anni prima, la scrutavano ora dall’altra parte del salone.
L’uomo che l’aveva definita «troppo emotiva» per guidare qualcosa di importante si trovava a pochi metri dalla donna che stava dimostrando l’esatto contrario.
Ma certo che sei qui, pensò lei, amara. Ryan compare sempre dove può farsi notare.
Inspirò a fondo e mandò giù un sorso di champagne.
«Hai l’aria di qualcuno che ha appena visto un cadavere riesumato», commentò una voce alle sue spalle.
Olivia si voltò. «Mia», sospirò sollevata. Mia Barnes, la sua migliore amica e braccio destro, le porse un altro bicchiere.
«Non un cadavere», ribatté Olivia. «Solo un fantasma che non sa stare al suo posto. Ryan è qui.»
Gli occhi di Mia si strabuzzarono. «Ryan-tossico? Quello che ti spiegava come funzionava il tuo lavoro, mentre rubava le tue idee?»
«Quello stesso.» Olivia accennò con il mento verso il gruppo di dirigenti. «E adesso se la ride con Walter Jenkins. Scommetto che sta cercando di infilarsi in Archer.»
«Lascia che ci provi,» disse Mia, sollevando il bicchiere in un brindisi ironico. «Il posto l’hai preso tu. E senza di lui. Il karma sa usare l’ascensore, a quanto pare.»
Olivia sorrise appena. L’orchestra attaccò un pezzo più vivace, e la pista da ballo si riempì di abiti scintillanti e smoking perfettamente tagliati. Fu allora che vide Ryan staccarsi dal gruppo e dirigersi con passo deciso verso di lei, con quel sorrisetto predatorio che conosceva fin troppo bene.
«No, no, no…» mormorò. Un’ondata di panico le montò nel petto. «Sta arrivando qui.»
Non ebbe il tempo di pensarci. Si girò verso l’uomo più vicino a lei: alto, spalle larghe, un completo scuro impeccabile e un’aria tranquilla, come se niente al mondo potesse davvero disturbarlo. Si avvicinò di un passo, sentendo il cuore martellare.
«Per favore,» sussurrò, «balleresti con me? Il mio ex ci sta guardando.»
L’uomo si voltò verso di lei, colto di sorpresa. I suoi occhi, di un blu intenso, si posarono sui suoi con calma assoluta, ma con una luce attenta, quasi curiosa.
«Sarebbe un onore», rispose senza esitare.
Appoggiò il bicchiere sul vassoio di un cameriere di passaggio e le porse la mano. Pochi istanti dopo erano in mezzo alla pista, circondati da gente che rideva e chiacchierava, ma per Olivia tutto sembrava sfocato ai bordi.
Lui la guidava con sicurezza, il passo fluido, il tocco fermo ma gentile. Non diede nemmeno un’occhiata ai loro piedi: era evidente che non era nuovo a quel tipo di serate — o a quel tipo di danza.
«Grazie», mormorò lei, ancora leggermente scossa. «Sono Olivia. Olivia Mitchell.»
«Piacere, James», rispose lui.
La sua voce aveva un timbro caldo, profondo, con quella nota controllata di chi è abituato a farsi ascoltare senza alzare il tono. «Allora, Olivia…» aggiunse, con una scintilla divertita nello sguardo, «cosa ha fatto questo ex per meritarsi un ballo d’emergenza con il primo sconosciuto a portata di mano?»
Lei abbozzò un sorriso. «Diciamo solo che è molto bravo a far sentire le donne piccole mentre fa finta di sostenerle. Un giorno mi sono guardata allo specchio e non mi riconoscevo più.»
L’espressione di James si fece più seria. «Alcuni uomini confondono il controllo con l’amore. Tu, però, sei qui stasera. È la prova che gli hai tolto il potere.»
Quelle parole le arrivarono dritte al petto. Non si era accorta di quanto avesse bisogno di sentirle.
Continuarono a danzare, e per qualche minuto il rumore, le voci e persino la presenza di Ryan svanirono. Restavano solo il ritmo della musica e la sensazione di essere finalmente… al proprio posto.
Quando il brano terminò, Olivia ebbe quasi dispiacere.
Rientrando verso il bar, chiese: «E tu, James, come mai al gala di Archer?»
Lui fece un mezzo sorriso. «Diciamo che ho un interesse particolare per l’ospedale che beneficerà delle donazioni. E tu?»
«Io ci lavoro», rispose con un filo di orgoglio. «Archer Industries. Sono la nuova direttrice marketing. È tutto molto recente. Deve sapere che non ho ancora avuto il piacere di incontrare il famoso amministratore delegato. A quanto pare è troppo impegnato per conoscere i nuovi arrivati.»
Un’ombra di divertimento gli sfiorò le labbra. «O forse non ama molto le formalità.»
Lei rise. «Un CEO miliardario allergico alle formalità? Questa sì che è nuova.»
«Magari lo incontrerai prima di quanto pensi», mormorò lui.
Non ebbe il tempo di ribattere. Mia comparve come una tempesta, con il tablet in mano. «Liv, muoviti! Walter ti sta cercando, grandi clienti in arrivo, ti vuole al tavolo ora.»
«Arrivo», disse Olivia, con un sorriso di scusa rivolto a James.
Lui le prese la mano e vi sfiorò appena le nocche con le labbra. «È stato un piacere, Olivia Mitchell. Spero che questa non sia stata l’ultima danza.»
Il modo in cui lo disse rimase nella mente di lei anche dopo essersi immersa in presentazioni, strette di mano e conversazioni strategiche.
Quello che lei non sapeva — e che nessuno, in quella sala, sembrava sospettare — era che “James” non si chiamava affatto James.
Era Jackson Archer. Il fondatore, il CEO, il miliardario sfuggente che tutti vedevano solo sulle copertine delle riviste e nei report finanziari. E a cui lei, pochi minuti prima, aveva dato del “troppo importante per i suoi dipendenti”.
Lunedì mattina: collisione annunciata
La riunione di direzione era già in corso quando Olivia si sedette, leggermente in ritardo, con il portatile aperto e la mente ancora piena di immagini del gala. Stava controllando le sue slide quando all’improvviso percepì un cambiamento nella stanza: mormorii, schiene che si raddrizzavano, sguardi che convergevano verso la porta.
«Buongiorno», disse una voce profonda dall’ingresso. «Proseguite pure.»
Olivia sentì il cuore catapultarsi in gola.
Non può essere.
Si girò. Era lui. Lo sconosciuto del ballo. Solo che non era affatto sconosciuto.
In un completo antracite su misura, perfetto in ogni dettaglio, l’uomo che si era presentato come James prese posto a capotavola.
«Signor Archer», esclamò la direttrice operativa, Victoria Hayes, con un sorriso quasi devoto. «Che sorpresa. È un onore averla con noi.»
Olivia sentì un brivido gelido scorrerle lungo la schiena.
Oh. Mio. Dio.
Jackson incrociò il suo sguardo, e nei suoi occhi lampeggiò un divertimento appena trattenuto. «Signorina Mitchell», disse pacato, «sono curioso di ascoltare la sua presentazione.»
Lei si alzò sulle gambe che le sembravano di gomma, le mani sudate sul telecomando delle slide. «Buongiorno a tutti», iniziò, cercando di rendere stabile la voce. «Come nuova direttrice marketing, vi presento la proposta strategica per il lancio della linea Archer Elite…»
Man mano che parlava, qualcosa dentro di lei si riallineava. Era brava in quello che faceva, lo sapeva. Le idee scorrevano, le argomentazioni si legavano, la storia del brand prendeva forma. Quando concluse, nella sala regnava un silenzio denso, ma non ostile.
Jackson si appoggiò allo schienale, studiando il monitor. «Interessante», disse infine. «Puntare su una narrazione autentica invece che sull’esibizione dello status. Una scelta rischiosa, ma estremamente lucida.»
I loro sguardi si intrecciarono ancora una volta. C’era qualcosa, nel modo in cui la osservava, che la faceva sentire… vista, davvero.
Quando la riunione finì, le rivolse solo due parole: «Alle tre. Nel mio ufficio.»
La verità dietro il nome
L’ufficio di Jackson non era come Olivia l’aveva immaginato. Non c’erano pareti tappezzate di premi, né arredamento freddo e intimidatorio. Legno chiaro, qualche libro, una vista enorme sulla città: dava un’idea di ordine e di controllo, ma senza ostentazione.
«Le devo delle scuse», iniziò lui, mentre si toglieva la giacca e si arrotolava le maniche. «Al gala non sono stato proprio trasparente.»
«Si direbbe di no», ribatté lei, trovando il coraggio di sorridere. «Mi ha detto che si chiamava James.»
«È il mio secondo nome», ammise, con un mezzo sorriso. «Quindi non ho mentito del tutto.»
«Perché nascondersi?» chiese Olivia, sinceramente incuriosita.
Jackson si voltò verso la vetrata. «Quando le persone sanno chi sono, iniziano a recitare. Dicono ciò che pensano che io voglia sentire. Quella sera… lei no.» Si girò di nuovo verso di lei. «Mi ha detto che il CEO di Archer è “troppo importante per incontrare le nuove assunzioni”. È stata una ventata d’aria fresca.»
Olivia arrossì. «Temo di aver mancato clamorosamente di diplomazia.»
«Al contrario», replicò, «ha centrato un problema. E ha dimostrato di non avere paura della verità.»
Rimasero a parlare più a lungo del previsto. Di strategie, di responsabilità, di quanto fosse difficile mantenere l’integrità scalando in alto. Olivia si rese conto, quasi con fastidio, di quanto le piacesse parlare con lui. Non solo come capo. Come uomo.
Quando si alzò per congedarla, le tese la mano. Bastò quel contatto a farle riaffiorare la sensazione provata sulla pista da ballo.
«Stesso orario, domani?» chiese con naturalezza.
«Certo», rispose lei. La sua voce le sembrò più sicura di come si sentisse.
Sussurri fra i piani alti
Quelli che dovevano essere incontri occasionali si trasformarono presto in appuntamenti quotidiani. All’inizio si parlava solo di piani e campagne; poi le conversazioni si allungarono, si fecero più personali, più spontanee. Si ritrovavano a ridere, a scambiarsi battute, a ragionare come se fossero da anni una squadra rodata.
I corridoi, però, non erano ciechi.
Victoria Hayes la osservava con un sorriso sempre più rigido. «Notevole», commentò un giorno in ascensore, fissando il display. «La velocità con cui ha ottenuto l’attenzione del signor Archer.»
«Stiamo solo lavorando», rispose Olivia, cercando di sembrare indifferente.
Mia, invece, fu brutalmente diretta: «Lo sai che ormai la macchinetta del caffè parla solo di te e Jackson, vero? “Riunioni a porte chiuse”, “ore di straordinario misteriose”…»
«Stiamo lavorando», ripeté Olivia, massaggiandosi le tempie.
«Sì, sì, certo», la prese in giro Mia. «È che la chimica non si può mettere nelle note riunione.»
Quando Jackson le chiese di accompagnarlo a una cena di beneficenza al Pierre Hotel «per rappresentare insieme il reparto marketing», lei accettò. Fingendo con se stessa che fosse esclusivamente professionale.
Non lo era.
Quella sera, sotto i lampadari dorati del Pierre, Jackson in smoking era ancora più disarmante. «Sei splendida», le sussurrò, come se fosse la constatazione più ovvia del mondo.
Si muovevano tra imprenditori, investitori e membri del consiglio, quando una voce che Olivia aveva sperato di non sentire mai più si infilò nel fruscio del salone.
«Olivia», disse Ryan, comparendo all’improvviso. «Che sorpresa vederti qui. Devo ammettere che hai un’aria… molto arrivata.»
Lei irrigidì la mascella. «Ryan.»
Lui voltò il capo verso Jackson. «Signor Archer, è un piacere. Ho un colloquio martedì per la posizione di direttore finanziario. Non vedo l’ora di parlare delle mie idee per l’azienda.»
Lo sguardo di Jackson si fece duro come acciaio. «Non abbiamo alcuna posizione aperta per un CFO.»
«Davvero?» fece Ryan, con un sorriso mellifluo. «Curioso. Walter Jenkins mi ha invitato personalmente.»
La mascella di Jackson si contrasse. «Ci scuserà, signor Cooper», disse freddo. «Devo discutere una questione interna con la signorina Mitchell.»
Quando si allontanarono, Jackson abbassò la voce. «Quell’uomo non metterà piede nella mia azienda.»
«Che sta succedendo?» chiese Olivia, confusa.
«Lo scoprirò», rispose lui. Ma prima che potesse muoversi, Victoria la intercettò in bagno.
«Che coincidenza», commentò guardandola allo specchio. «Tu… e Cooper. Entrambi, all’improvviso, orbitate attorno ad Archer. Qualcuno potrebbe chiedersi da quanto dura questa… collaborazione.»
«Io non ho niente a che vedere con lui, né ora né mai», ribatté Olivia, tagliente.
Victoria abbozzò un sorriso sottile. «Vedremo cosa dirà il consiglio, quando sarà il momento.»
Il piano di Victoria
Il lunedì seguente, Jackson convocò Olivia nel suo ufficio con un’espressione che non le aveva mai visto.
«Ho fatto qualche verifica», disse, incrociando le braccia. «Ryan e Victoria hanno lavorato insieme anni fa. Molto prima che tu lo conoscessi.»
Olivia lo fissò, senza fiato. «Vuol dire che…?»
«Vuol dire che il tuo incontro con lui non è stato casuale. È stato orchestrato. Lei ti ha tenuta d’occhio a distanza, ha mandato lui a… limitarti. A farti dubitare di te abbastanza da non minacciare la sua posizione.»
«E adesso?» sussurrò Olivia.
«Domani, il consiglio la nominerà Chief Marketing Officer. Avrà il controllo sulla Fondazione Eleanor Archer e su una grossa fetta dell’azienda.» Jackson la guardò serio. «Ha bisogno di uno scandalo che ti travolga, per dimostrare che sei ‘compromessa’. Tu e Ryan che spuntate insieme in Archer è una storia perfetta.»
«E io sarei il suo capro espiatorio», concluse lei, con un nodo alla gola.
«Non se dimostriamo che lei e Ryan hanno agito in combutta.»
Fu Jackson a proporre la soluzione. Ma fu Olivia ad accettare il ruolo più difficile.
La trappola
La mattina successiva, Olivia sedeva in una piccola sala riunioni, davanti a un tavolo lucido e a una caraffa d’acqua che non riusciva a toccare. Si controllò il telefono: nessun messaggio. Sopra lo specchio oscurato sulla parete, una telecamera discreta faceva il suo lavoro. Dall’altro lato del vetro, Jackson e il reparto legale aspettavano.
Ryan entrò come se fosse a casa sua. «Dov’è Victoria?» chiese, senza saluti.
«In ritardo», rispose Olivia, assumendo un tono distaccato. «Mi ha chiesto di aggiornarti. Dice che dobbiamo essere perfettamente allineati.»
I suoi occhi si strinsero. «Allineati su cosa, esattamente?»
Olivia si chinò leggermente in avanti, fingendo complicità. «Su come l’hai aiutata. E su come hai… gestito me. Mi ha raccontato della Fondazione Eleanor Archer.»
Un lampo di soddisfazione attraversò il volto di Ryan. «Quindi sai cosa c’è dietro. Bene.»
Lei mantenne lo sguardo fermo. «Trenta per cento dell’azienda. È per questo che hai seguito ogni passo della mia carriera?»
Lui rise piano. «Oh, Olivia. Sveglia. Victoria ti ha adocchiata molto prima di te. Mi ha mandato a controllare che non ti montassi troppo la testa. Dovevi crescere, ma senza diventare un problema. È così che si gestiscono le risorse promettenti.»
Ogni parola veniva registrata.
Olivia si alzò in piedi. «Mi avete usata. Tutti e due.»
«Non fare la melodrammatica», sbuffò lui. «È solo business.»
La porta laterale si aprì.
Jackson entrò, con il volto chiuso in un’espressione di ghiaccio. «Il business», disse, «è esattamente ciò che hai appena rovinato.»
Ryan sbiancò. «Senti, posso spiegare…»
«Non serve», intervenne Olivia, mettendosi accanto a Jackson. «Per una volta, le tue parole parlano da sole.»
La resa dei conti
Tre ore più tardi, il consiglio di amministrazione era riunito al completo. Nella sala regnava un silenzio teso mentre la registrazione veniva riprodotta. Le frasi di Ryan — ogni risata, ogni ammissione — rimbombavano contro le pareti.
Quando l’audio si interruppe, nessuno parlò. Bastò uno sguardo tra i consiglieri perché fosse chiaro che la posizione di Victoria era indifendibile.
La decisione fu rapida.
Victoria Hayes venne rimossa per gravi violazioni etiche e collusione con un soggetto esterno.
Mentre la sicurezza l’accompagnava verso l’uscita, si fermò accanto a Olivia. «Non illuderti», sibilò. «Si rivolterà anche contro di te. Gli uomini come Archer lo fanno sempre.»
Olivia non distolse lo sguardo. «La differenza», disse con calma, «è che io, ormai, so perfettamente quanto valgo. Con o senza un uomo.»
Sei mesi dopo
La luce di primavera entrava a fiotti dalle vetrate della sede di Archer Industries. Sul palco del gala inaugurale della Fondazione Eleanor Archer, Olivia stava presentando un nuovo programma di sostegno alle donne leader nel mondo del business.
«…è ora che chi ha avuto accesso alle stanze del potere apra la porta ad altre donne», concluse. La sala esplose in un applauso lungo, caldo.
Olivia respirò profondamente. Non era più la donna che cercava di sopravvivere a un ex tossico e a un ambiente ostile. Era la direttrice generale marketing di Archer Industries. Aveva contribuito a smascherare un sistema corrotto. Aveva ripreso in mano la propria storia.
Mentre l’orchestra ricominciava a suonare, sentì una presenza accanto a sé.
«Posso rubarti un ballo?» chiese Jackson, tendendole la mano. «Non per salvarti da qualcuno che ti sta osservando. Solo perché non c’è un posto al mondo in cui preferirei essere, se non qui con te.»
Olivia lo guardò e le venne naturale sorridere. Il peso che aveva portato addosso per anni sembrava ormai un ricordo lontano.
«Finalmente», mormorò, poggiando la mano nella sua. «Cominciavo a pensare che non me l’avresti mai chiesto.»
Sotto gli stessi lampadari che avevano visto il loro primo incontro, si lasciarono andare a un nuovo ballo. Questa volta senza maschere, senza nomi finti, senza ruoli da recitare.
Solo due persone che avevano attraversato il caos e ne erano uscite più forti, più vere — e, finalmente, libere di brillare.