Dimmi la verità: crederesti se ti dicessi che vivi sotto lo stesso tetto con qualcuno, condividi persino il letto con quella persona, eppure, alle tue spalle, lei compie qualcosa di così grave da non poter neanche essere nominato?
Prima ero sicuro che una cosa del genere non mi sarebbe mai capitata. Con Lena la vita scorreva tranquilla: niente litigi, niente scenate, nessun pensiero inutile. Stabilità. Io lavoro, lei va in ufficio, la sera guardiamo serie tv, ceniamo insieme, ogni tanto andiamo al cinema. Certo, mancava un po’ di passione, ma non siamo mica ragazzini, no?
Poi, all’improvviso, bam! Quella “stabilità” è crollata in un attimo.
Tutto è iniziato con la festa aziendale della sua ditta. Ha cominciato a prepararsi con giorni di anticipo, scegliendo il vestito, abbinando le scarpe, è persino andata dal parrucchiere. Perfino io sono rimasto sorpreso — prima non le importava così tanto. Ho pensato: lasciamola divertirsi, perché no.
La sera prima della festa mi ha detto:
— Credo che resterò un po’ più a lungo. Ci saranno balli, gare, foto… tutto come si deve.
— Però non esagerare — le ho risposto — stai attenta.
Lei ha sorriso, come per dire “Tranquillo, sarà tutto in ordine”.
È rientrata tardi, tardissimo, quasi alle tre di notte. Io stavo già dormendo, ma mi sono svegliato quando ha aperto la porta con cautela. Tacchi a spillo, rossetto un po’ sbavato, capelli profumati di qualcosa di estraneo. L’ho notato, ma ho chiesto con calma:
— Allora, ti sei divertita?
— Alla grande! Abbiamo ballato, ci siamo divertite. Le ragazze erano fantastiche!
Ho pensato: “Ok, fantastiche sia.” E non ho insistito.
Ma qualche giorno dopo ho incontrato Svetka, una sua collega. Lei non mi conosceva, e parlando a caso ha detto:
— Ah, anche tu conosci Lenka? Quest’anno ha fatto impazzire tutti alla festa aziendale! Ha flirtato tutta la sera con Sergej delle vendite, poi è sparita con lui per un’ora… Tutti ne parlavano. È proprio una stella!
Io ero lì, senza capire di cosa stesse parlando. Alla fine le ho chiesto con un sopracciglio alzato:
— E tu chi sei per lei?
— Collega. E tu?
— Il marito.
Il suo volto è cambiato all’istante, confuso e spaventato. Ha iniziato a balbettare scuse:
— Scusa… non lo sapevo… non ci avevo pensato…
Ma ormai era troppo tardi.
Quella sera sono tornato a casa. Lena era seduta lì, con il suo solito pigiamone, come se nulla fosse cambiato.
— Com’è andata la giornata? — ha chiesto come sempre.
— Meglio se mi racconti tu com’è andata la festa, soprattutto dopo…
Lei è rimasta in silenzio, cercando di minimizzare:
— È stato solo parlare… niente di serio. Non è come pensi…
— Non è come penso? — ho ribattuto — hai deciso di vedere se ti ricordavi come si flirta? O volevi solo scatenarti un po’, come una ragazzina?
Silenzio lungo. Poi ha ammesso che aveva esagerato, che era stato stupido, che non voleva ferire nessuno. Che era stato un momento di debolezza, che le mancava l’attenzione, le carezze, il calore vero. Che a casa tutto era troppo grigio, monotono. Che non sapeva come fosse potuta arrivare a tanto.
Ma a quel punto, a me non importava più. Né le scuse, né le lacrime, né le suppliche per un’altra possibilità — niente aveva più senso.
Ho preso le mie cose e me ne sono andato.
Ora vivo da solo. Senza litigi, senza spiegazioni. Semplicemente sparito da quella vita. A volte, quando il bollitore fischia, mi torna in mente quella sera — lei in cucina, che mi guardava negli occhi mentre raccontava bugie. O forse stava mentendo a se stessa. Ormai non so più nemmeno distinguere.
E Svetka — quella collega — resta per me un mistero. Forse è solo una chiacchierona, oppure il destino ha voluto che sapessi la verità.
Forse, però, è stato meglio così. Perché se non fosse successo quel giorno, avrei continuato a vivere credendo nel nostro “niente di speciale” — quel nulla che, in realtà, cambia tutto.