— Silenzio, farai svegliare tua moglie! — sussurrò Vasja a Galja, mentre si infilava furtivamente lungo il corridoio oscuro.
— Ex moglie! — lo spinse lei, infastidita.
— Futuro ex, non siamo ancora divorziati! — ringhiò lui.
Improvvisamente si accese la luce, rivelando davanti agli ospiti una barriera umana: Ludmila, la moglie di Vasja.
Vasilij si raddrizzò, gonfiò il petto e cercò di proteggere Galja con il proprio corpo, ma era inutile: la pancia prominente di lei sporgeva da ogni lato, impossibile da nascondere.
— Ludmila, ti presento Galja, la mia compagna. Aspettiamo un bambino e lei vivrà qui finché non te ne andrai — balbettò il marito con un filo di coraggio.
— Chi ti ha picchiato da piccolo così forte da bucarti il cervello? — esplose Ludmila, incredula. Non bastava che avesse un’amante, ora l’aveva anche portata in casa, prendendo in ostaggio la proprietaria.
— Luša, comportati da persona civile, senza drammi. Siamo gente educata e moderna — sbatté le mani sui fianchi, guardandola dall’alto in basso.
— Chi ti ha insegnato queste parole, amore? — gli occhi di Ludmila erano fiammeggianti. Il vocabolario di Vasja si limitava a “caspita”, “cavolo” e “tipo”.
— E tu, signora, perché stai in silenzio? È il tuo modo di fare? — lei si sporse dietro di lui, indicando Galja.
— Preferirei riposare un po’ — alzò le spalle Galja senza troppi commenti. Il suo sguardo diceva chiaramente: “C’è un uomo, lasciate fare a lui.” Era stanca e aveva bisogno di quiete.
Ludmila capì subito che quella notte non sarebbe finita così. L’appartamento era un generoso regalo dei suoi genitori al momento del matrimonio, e Vasja puntava a tenersi la sua metà anche dopo il divorzio. Peccato che non avesse detto che la proprietà era intestata alla madre di lei.
— Questa è la mia camera da letto! — sbottò Ludmila, decisa.
La gravidanza dell’amante non era una novità: Vasja, con la sua proverbiale sfortuna, non aveva mai cancellato le schede del browser condiviso, e tutto era chiaro. All’inizio Ludmila aveva pianto; poi aveva deciso che era l’occasione perfetta per chiedere il divorzio. Amava quel lato gentile di lui, ma alla lunga era diventato insopportabile: non riusciva neanche a scegliere se prendere autobus, tram o taxi per andare a prenderla al lavoro. Così lei partiva per prima e lo aspettava a casa.
Anche la lista della spesa era un incubo: un giorno lo aveva trovato davanti al reparto della ricotta con due confezioni in mano, convinto che quella scelta fosse questione di vita o di morte, mentre nel carrello c’era solo un pacco di sale. Sembrava un robot impazzito.
Vasja era idraulico in un’industria locale, guadagnava bene e lavorava con le mani, ma la testa spesso vacillava. Ci sono persone di cui non ti accorgi subito — e poi è troppo tardi. “Hai rotto l’unghia? Addio per sempre.” Così si sentiva Ludmila, intrappolata in quel matrimonio.
Le amiche le mostravan solidarietà, trattenendo a stento ilarità:
— Luša, a te non serve neanche partorire: hai già un bambino pronto. Niente notti insonni, pannolini o vasini.
— Ragazze, non infierite — sospirava lei — in fondo è una brava persona: ha buon cuore e sa usare le mani.
Luša era caporedattrice in un giornale, salita dai banchi del giornalismo fino ai vertici della redazione a trent’anni. E ora, dopo anni di matrimonio, nella sua casa dormiva la sua rivale incinta.
Una notte, uno scricchiolio vicino al letto la svegliò. Aprì un occhio e vide Vasja che si avvicinava furtivo.
— Fermati! — ordinò a bassa voce ma con fermezza. Lui sobbalzò.
— Uffa, mi hai spaventato — sussurrò. — Ascolta, Luša, non fare arrabbiare Galja. Dio non voglia nasca prima del tempo. E poi te ne vai, vero?
— Vuoi mandarmi via? — sbottò lei. — L’appartamento si divide a metà: vivete nella tua metà, io resto qui. Ora vattene, domani devo alzarmi presto!
Vasja uscì in punta di piedi. Dalla stanza vicina arrivarono rumori confusi e la sua voce flebile:
— Galja, cosa fai?! Volevo solo parlarti… Quale dovere coniugale? Hai detto di vivere nella tua metà… Ahi! Mi hai fatto male! Giuro che non ho fatto niente!
Luša rimase ammirata dalla propria pazienza…
La mattina seguente tutti dormivano ancora, mentre lei era già in piedi. Girava per casa in biancheria, asciugamano in testa. Accese il bollitore e si chiuse in bagno a asciugare i capelli; il phon era un frastuono. Dopo qualche minuto il bollitore iniziò a fischiare, ma lei non si affrettò in cucina.
— Qualcuno spenga quel dannato fischio! — urlò Galja dietro la porta. — Fatemi dormire!
— Non ti piace? — entrò Luša in cucina, dove i due “piccioncini” dormivano ancora.
— Le porte sono aperte, nessuno vi tiene qui.
— E perché passi in giro mezza nuda? — sbadigliò Vasja da sotto le coperte. — Questa è la nostra metà!
— Eh, qui ci sono i miei armadi e le mie cose — rispose lei ignorando lo sguardo infuriato della rivale. — Non vedi niente!
Accese la luce e Galja esclamò:
— Come ti permetti?! Non hai vergogna!
Luša restò senza parole, uscì infastidita e spense il bollitore.
Al lavoro cercò di non pensarci, ma in testa ronzava: “A chi racconto questa storia? Nessuno mi crederebbe…”
La sera, tornando a casa, sperava che Vasja e l’amante fossero andati via. Ma le luci accese tradirono la presenza. Galja trafficava in cucina, Vasja fissava la TV.
— Che diavolo fai qui?! — sbottò Luša all’ingresso. — Sei stata in casa tutto il giorno e ora cucini? Io torno dal lavoro e voglio cenare in pace, non vedere un ippopotamo danzare davanti ai miei occhi!
— Attenta alle parole! — non si lasciò intimidire Galja. — Sono una donna incinta, è sacro!
— Galja, sei stupida! — borbottò Luša. — Vai da Vasja, io ceno qui.
Decise di usare gli odori a suo vantaggio: per cena preparò sgombro fritto, un piatto noto per il suo aroma persistente, perfetto per “invitare” gli ospiti a andarsene.
Mezz’ora dopo la casa era invasa da un fetore di pesce andato a male.
— Io sopporto — borbottò Luša.
Ma Galja, presa dalla nausea, corse in bagno.
— Luša, lo fai apposta? — sbottò Vasja.
— Ceni? — sorrise lei. — Non vedi?
— È disgustoso! — esclamò Vasja, tappandosi il naso.
— Ricordi dov’è la porta? — rise Luša. — Nessuno vi obbliga a restare!
A quel punto Galja, in preda al malessere, scomparve in bagno.
— Forse stai esagerando — cercò di mediare Vasja, corrugando la fronte.
— È solo un’impressione! — rispose Luša. — Domani preparo cosce di pollo al forno all’aglio: chi sarà l’ultimo a cena?
Galja non poté far altro che correre in bagno tra conati di vomito.
— Mi sembra che ti stai prendendo gioco di lei — osservò Vasja.
— Tu pensi — sorrise Luša, uscendo. Tornò poi annunciando: — Ho chiesto il divorzio. Presto sarai di nuovo libero… ma non per molto.
Il sabato mattina tutto ricominciò: phon, bollitore, lamenti di Galja. Entrambe si trovarono in cucina.
— Sei impazzita? — sbottò Galja. — Come ti permetti di girare così?
— E di cosa dovrei vergognarmi? — rise Luša versandosi il caffè. — Sono a casa mia, era così prima del tuo arrivo. E finché sono la moglie legittima, ho i miei diritti… anche quelli coniugali.
Vasja sbucò, impallidito a confronto con la moglie in forma e l’amante ormai rotonda, e rimase senza parole. Galja, presa da rabbia, gli diede uno schiaffo e fuggì dalla cucina in lacrime.
— Perché?! — strillò Vasja, toccandosi la guancia arrossata. Corse dietro a Galja, ma Luša sentì solo pianti e confusi borbottii.
Mezz’ora dopo Galja tornò, asciutta e silenziosa, seguita da Vasja con una borsa.
— Mi occuperò io dello sfratto — disse lui cupo.
— Non ti preoccupare — rise Luša. — L’appartamento non si vende. È di mia madre. Scusa se non l’avevo detto prima.
Galja precipitò giù per le scale, invocando la sua metà di casa. Vasja le corse dietro, cercando di calmare o convincere. Ma Luša non sentiva più nulla. Tornò in cucina, si versò un altro caffè e sorridendo scorse le notizie sui social.
Un mese dopo…
— Vasja? Che ci fai seduto qui sotto? — esclamò Luša sorpresa. Lui era accucciato sui gradini del portone, con un sacchetto di plastica stracciato pieno di vestiti.
— Posso venire a vivere da te? Galja non mi vuole…
— In che senso “venire da me”?
— Finché non nasce il bambino…
— E dopo? Torni da lei? Sarà peggio. I bambini piangono più di una donna incinta.
— E dopo quanto diventano normali?
— Tra diciotto anni.
— … — capì di aver fatto un pessimo affare.
— Vai via, Vasja. Non ti riapro la porta.
— Perché?
— Perché è troppo tardi: il tuo posto ormai è occupato.
Proprio in quel momento il cellulare di Luša suonò.
— Pronto? Sì, arrivo subito… Sì, c’era un senzatetto nel portone, l’ho allontanato… No, non serve aiuto, se ne sta andando… Sì, arrivo, a dopo! — disse, alzò il capo e se ne andò.