“Mio fratello ha fatto entrare in casa una donna e l’ha subito elevata a padrona, ma io non ho perso tempo a farle capire qual era il suo vero posto.” Ask ChatGPT

«Non m’importa cosa ne pensi! Questa è casa mia, mia soltanto. E tu hai portato qui una sconosciuta e adesso credi che sia lei la padrona?»

«Katja, per favore, non urlare, il bambino sentirà…» Artem sbirciò nel corridoio. «Capisce tutto.»

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«E chi ha mai chiesto a lui cosa ne pensa?» Katja indicò con rabbia la stanza da cui provenivano i suoni dei cartoni animati. «Chi gli ha dato il permesso di stare qui? Avresti almeno potuto avvertirmi prima che si trasferissero!»

Ol’ga era al lavandino, di spalle a loro, strofinando lentamente una tazza. Non protestava né se ne andava, come se ogni suo gesto fosse intenzionale.

«Katja, ti chiedo solo di parlare con calma…» iniziò Artem.

«No!» lo interruppe bruscamente. «Non mi chiedi niente. Rimani in silenzio mentre qui distruggono tutto: buttano via le mie cose, spostano gli armadi, sostituiscono i miei vestiti con i loro! È così che si risolvono i problemi?»

«Ti avevo detto che sarebbero rimasti con noi comunque» borbottò lui. «Non è successo all’improvviso.»

«Hai detto “per un paio di giorni”» Katja strinse i pugni. «E adesso lei comanda come se fosse a casa sua! Ti sembra giusto?»

Ol’ga si voltò.

«Forse basta con lo show in cucina? Siamo tutti adulti qui. Se ci sono problemi, possiamo discuterne con calma.»

«Con calma?» Katja rise amara. «Sei entrata e hai fatto quello che ti pareva. E io dovrei stare zitta?»

«Sono io che sono entrata?» Ol’ga alzò un sopracciglio. «Mi pare che la decisione l’abbia presa tuo fratello. O pensi che non sappia decidere da solo?»

Katja lanciò uno sguardo ad Artem, che deglutì e chinò la testa fissando il pavimento, come se lì fosse nascosta la verità.

«Hai solo approfittato di lui perché aveva bisogno di un tetto» sussurrò Katja. «È tutto qui.»

«Quello è già un insulto» rispose calma Ol’ga. «Se vuoi restare qui, dovrai imparare a parlare senza offese.»

Cadde un silenzio pesante.

«O forse dovresti andartene?» disse Artem senza alzare lo sguardo. «Sei sempre arrabbiata.»

Katja rimase pietrificata.

«Cosa hai detto?»

«Sei sempre furiosa. Ti pesa tutto addosso. Forse stare da sola ti farebbe bene…»

Katja lo guardò incredula, come se gli avessero strappato via il mondo in un attimo.

«Quindi vuoi buttarmi fuori da casa mia, Tjoma?»

«Non ti butto fuori… Sto solo…»

«Mia madre non ti riconoscerebbe» mormorò lei.

«Non iniziare con la mamma» borbottò lui.

«E chi, se non io, si è preso cura di te? Quando eri senza soldi per mesi, chi ti comprava da mangiare? Io? O lei?»

«Io non ho chiesto nulla…»

«Certo che no» la interruppe Katja. «Tu non chiedi mai niente. Stai zitto mentre gli altri si danno da fare. Adesso hai trovato lei al mio posto e credi che io debba cedere?»

«Basta» intervenne Ol’ga. «Non dobbiamo sopportare le tue scenate. Ne parleremo quando ti sarai calmata.»

All’improvviso Katja afferrò la sua tazza preferita dal tavolo — vecchia, con un disegno di lillà ormai consumato — e la scagliò con forza nel cestino. Un forte tonfo rimbombò nella stanza.

«Ne parleremo quando mi sarò calmata?» ripeté. «Questa è casa mia. Va bene. Ne parleremo.»

Si alzò, uscì in corridoio, prese il cappotto, indossò gli stivali e uscì dall’appartamento.

Fuori, il cielo era grigio e una leggera neve pungente cadeva. Katja si fermò sulla soglia, tremante e ansimante come dopo una corsa. La mente vuota.

Guardò le finestre del suo appartamento. No, non era più sua.

Ora era solo la padrona.

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