“Il medico aveva già dato ordine di trasferire la donna all’obitorio. Ma proprio mentre l’infermiere stava per eseguire la disposizione, la guardò in volto e la riconobbe: era la sua amica d’infanzia. In quell’istante prese una decisione che lasciò tutti senza parole…”

Il medico di guardia, con le spalle curve dalla stanchezza, si stiracchiò fino a sentire le ossa scricchiolare. Un lungo sbadiglio gli sfuggì dalle labbra mentre si avvicinava alla finestra. Oltre il vetro, la notte cadeva silenziosa, e i primi fiocchi di neve dell’inverno scendevano lenti, quasi esitanti, come se volessero galleggiare a lungo prima di toccare terra. Il paesaggio pareva sospeso in una fiaba silenziosa, ma dentro l’ospedale il caos era spietato, nudo, senza tregua.

Con un gesto meccanico, il dottore accese una sigaretta, aspirò con nervosismo e si voltò verso Viktor, l’infermiere più giovane, il volto già segnato dalla fatica:
— Che facciamo? — disse a mezza voce. — È gelida ormai. Non ha senso sprecare altro tempo con questa sconosciuta. Avvisa l’obitorio. È finita.

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Viktor, in silenzio, si avvicinò alla barella. Le sue mani, quasi per istinto, si posarono sul polso della donna. Un battito c’era, debole e irregolare, come il passo stanco di un orologio prossimo a fermarsi. Le scostò dal volto un ciuffo di capelli bagnati e, per un istante, restò pietrificato: quel viso consumato, sfigurato da anni di privazioni, aveva qualcosa di familiare.

«Julia?» pensò, incredulo. Ma scacciò subito l’idea. Julia era stata solare, con guance morbide e fossette che comparivano ogni volta che rideva. Quella creatura davanti a lui, invece, sembrava un’ombra senza età, un relitto umano trascinato dalla vita.

Intanto i barellieri erano già arrivati, rapidi e silenziosi. Caricarono la donna sulla barella, la coprirono con un lenzuolo bianco e la spinsero via lungo il corridoio, i loro passi riecheggiavano come un addio.

— Vitya! — lo richiamò il medico, indicando alcune carte cadute a terra. — Sono suoi documenti. Portali giù all’obitorio, poi vai a riposarti. Notte pesante, stanotte.

Viktor raccolse i fogli umidi e iniziò a salire le scale. Una lampadina sul pianerottolo, più intensa delle altre, lo costrinse a strizzare gli occhi. Aprì il fascicolo: “Saar Julia Gennad’evna, nata nel 1994”. Tremando, estrasse il passaporto. L’acqua aveva rovinato molte pagine, ma la fotografia plastificata era intatta.

Gli occhi di Viktor si velarono. Julia. La sua Julia.

Erano nati lo stesso anno, nello stesso mese. Cresciuti in case di fronte, convinti da bambini di essere fratello e sorella. Dividevano giochi, segreti e sogni. Per lui, Julia non era mai stata una semplice vicina: era parte di sé.

Si rivide bambino, mentre lei rifiutava di andare a scuola se non potevano stare nello stesso banco. Rivide le liti adolescenziali, i corteggiatori che lui respingeva con spallate e rabbia, e quel giorno in cui Julia gli disse di non scortarla più. Ricordò l’ombra di Robert, il capitano di basket che le prese la mano e la portò via, lontano da lui.

Ora, il destino gliela restituiva in una forma spezzata e irriconoscibile.

Viktor non esitò. Corse lungo il corridoio, raggiunse i barellieri proprio mentre stavano spingendo la barella verso la cella frigorifera.
— Fermatevi! — gridò, con una voce che non era mai stata così forte. — C’è stato un errore. Portatela in rianimazione!

— Ma il dottore ha già firmato per l’obitorio — obiettò uno di loro.

— Non capite! — urlò Viktor, con gli occhi in fiamme. — Lei non è una sconosciuta. È Julia… la mia Julia. Non permetterò che finisca così.

Il dottore, esausto, sbuffò e tornò a guardare la neve oltre il vetro, come se volesse scrollarsi di dosso quella responsabilità. Ma Viktor non cedette: spinse la barella in rianimazione e la sistemò in un letto libero. Le mani gli tremavano, ma si mossero con decisione: tagliò i capelli zuppi, la avvolse in asciugamani asciutti, collegò le flebo. Ogni gesto era spinto non solo dalla competenza, ma da un amore antico, ferito e mai sopito.

Il cuore di Julia batteva piano, la temperatura era scesa sotto i limiti di sicurezza. Ma era viva. E lui era lì, deciso a non lasciarla andare.

Mentre la osservava, le parole di suo padre gli tornarono alla mente: «Tu puoi proteggere sia Tanya che Julia».

— Papà… eccomi — sussurrò, abbassando lo sguardo su di lei. Poi, esausto, si lasciò cadere su una sedia accanto al letto, stringendole la mano, deciso a vegliarla fino all’alba.

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