La consideravano una poveraccia. A scuola non perdeva occasione nessuno per prenderla in giro: dicevano che indossava solo vestiti smessi dagli altri e che pranzava con gli avanzi. Ma, contro ogni aspettativa, proprio lei è diventata la regina del ballo di fine anno.

Nina spalancò la porta principale della scuola ed entrò nel lungo corridoio illuminato da lampade al neon. La luce fredda e impersonale creava un’atmosfera monotona, quasi opprimente. Fuori era già scoppiata una primavera precoce, ma il sole non riusciva ancora a penetrare tra quelle mura grigie. Per lei, quell’ultimo anno delle superiori era diventato un peso insopportabile: i compagni parlavano solo di amori, di sogni per il futuro, dei vestiti scintillanti per il ballo di fine anno. Nina, invece, restava sempre in disparte, in silenzio, come se non facesse parte di quel mondo.

Sin dalle elementari, portava addosso un marchio crudele: “la pezzente”. I ragazzi la deridevano dicendo che vestiva stracci e si nutriva degli avanzi, mentre le compagne, più raffinate ma non meno cattive, la condannavano: “È povera, resterà povera per tutta la vita.” Alle medie aveva provato a reagire, ma era inutile: gli altri bambini avevano famiglie benestanti, indossavano abiti firmati, scarpe alla moda, sfoggiavano accessori costosi. Lei, invece, si accontentava di un solo vestito elegante e di un paio di jeans usati.

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Ogni volta che le ragazze della classe parlavano del ballo come della “festa delle principesse”, a Nina si stringeva il cuore. Pensava a se stessa in scarpe vecchie e con un vestito scollato e malandato, oggetto di derisione generale. Una settimana prima, Masha, con il suo sorriso pungente, l’aveva umiliata davanti a tutti: “Allora, Nina, hai già chiesto i soldi alla preside per il tuo vestito?” La classe era scoppiata a ridere, e lei era fuggita in corridoio con un libro in mano, trattenendo le lacrime.

Le tornava in mente un ricordo lontano: alle elementari i genitori le avevano regalato un abito rosa con fiocchi e ricami. Doveva essere un momento di orgoglio, ma già il giorno dopo i compagni glielo rovinarono, macchiandolo di vernice. “È di cattiva qualità,” avevano commentato le ragazze. Sua madre allora la consolò promettendo un altro vestito, ma i soldi non bastavano.

Ora, alle superiori, gli insulti erano diventati routine. Gli insegnanti si limitavano a dire: “Lasciate che i ragazzi se la vedano tra loro.” Ma Nina crollava sempre più spesso. Un giorno, dopo l’ennesima presa in giro, uscì dall’aula in lacrime, abbandonando metà delle lezioni.

A casa la attendeva un’altra prova. Dopo la morte di sua madre, suo padre si era rifugiato nell’alcol. Seduto davanti alla televisione, tra bottiglie vuote, riuscì appena a chiederle perché fosse tornata così presto. Nina gli aveva risposto a fatica, pregandolo di reagire: “Mamma non vorrebbe vederti così…” Ma lui taceva, sprofondato nella sua apatia.

Quando finalmente cercò di parlargli dei suoi problemi, del ballo, del desiderio di apparire almeno un po’ come le altre, lui si limitò a sospirare: “Nina, non ho nulla da darti. E poi, a chi vuoi dimostrare qualcosa?” Quelle parole la ferirono più di ogni derisione.

Per non piangere davanti a lui, uscì a fare una passeggiata. In cortile incontrò la vicina, Inna Romanovna, che conosceva bene la loro situazione. Le propose un lavoro notturno come addetta alle pulizie in ospedale. Nina accettò: qualche rublo per il vestito sarebbe stato prezioso.

Cominciò così a dividersi tra scuola e lavoro. Di giorno subiva le prese in giro, la sera puliva corridoi, lavava pavimenti, svuotava cestini. Lo faceva in segreto, sognando il momento in cui avrebbe potuto sorprendere tutti. Naturalmente le voci si diffusero: qualcuno la vide dirigersi verso l’ospedale e iniziò a gridarle dietro: “Ehi, la pezzente va a lavare i pavimenti!” Ma lei stringeva i denti: non si sarebbe arresa.

Un giorno, durante la ricreazione, Svetlova, la ragazza più bella e ricca della classe, le si avvicinò con disprezzo: “Al ballo ci vieni con la divisa delle pulizie?” Nina la guardò dritta negli occhi e rispose: “Anch’io sarò lì. E forse vincerò la corona.” La compagna rise in faccia: “Tu? Regina del ballo? Non farmi ridere.” Ma Nina, pur con le mani che tremavano, replicò: “Vedremo.”

Intanto, in ospedale, accadde qualcosa che la segnò. Un bambino caduto dal monopattino fu portato dentro piangendo. Nina lo aiutò, medicandogli le ferite, mentre la governante lo ringraziava commossa: “I suoi genitori non ci sono mai, sei stata un angelo.” Quelle parole fecero nascere in lei una certezza: anche se era solo una semplice inserviente, poteva fare del bene.

Una sera, tornando a casa, trovò suo padre sobrio, seduto con un giornale. Le chiese scusa con voce tremante: “Ho sbagliato, Nina. Ho visto quanto lotti… Non posso lasciarti sola.” Da quel giorno cominciò a lavorare anche lui e le mise in mano i primi guadagni: “Usali per il tuo vestito.”

Finalmente Nina riuscì a comprare un abito celeste con un velo di tulle, scarpe semplici ma eleganti, e a prepararsi con dignità. La sera del ballo, entrò nella sala insieme al padre. Tutti si zittirono. “È… Nina?” mormoravano. Svetlova restò senza parole.

Quando arrivò il momento della proclamazione, il presentatore annunciò: “Regina del ballo è… Nina!” Gli applausi esplosero. Lei danzò il valzer con suo padre, trattenendo le lacrime. Avrebbe voluto che sua madre fosse lì, ma sapeva che in qualche modo la stava guardando.

Da quella sera la sua vita cambiò. Continuò a studiare e decise di diventare infermiera, ispirata dal suo lavoro in ospedale. Suo padre smise di bere, e con il tempo tutto migliorò. Conobbe Igor, il padre del bambino che aveva aiutato, e tra loro nacque un sentimento vero. Dopo la laurea, lui le chiese di sposarlo: “Lascia che io sia la tua favola.”

E Nina, ricordando quel vecchio soprannome crudele, sorrise: la sua favola se l’era costruita con le proprie mani.

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