Appena uscita dalla colonia con la libertà condizionale, senza una meta precisa, ha confuso l’indirizzo e ha passato la notte in casa di perfetti sconosciuti. Quel piccolo errore ha segnato una svolta decisiva nella sua vita.

Christina inspirò a fondo: l’aria calda portava con sé il dolce aroma della libertà. Era il suo secondo incontro con quella sensazione. La seconda occasione in cui si ritrovava a ricominciare da capo. E, come la prima volta, avrebbe dovuto imparare a vivere da zero.

Un sorriso amaro sfiorò le sue labbra. «Dopotutto, sono le difficoltà a rafforzarci…»
Quei problemi così strani, quasi assurdi, sembravano riservati soltanto a lei. Ma avrebbe resistito, ne era certa. Diventare più astuta, più guardinga. Non avrebbe più teso la mano a nessuno, mai più! Ora sarebbe stato tutto diverso: pace, calma, senza ansie inutili.

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Tre anni prima aveva già varcato la soglia dell’orfanotrofio. All’epoca, credeva nel bene, amava il mondo con tutta se stessa, sentendosi parte di qualcosa di luminoso e grande. Forse aveva avuto fortuna, o forse quell’istituto era più umano degli altri… Ma ormai non restava che un ricordo cupo: urla incessanti, umiliazioni continue, punizioni senza fine.

Quando qualcuno commetteva un errore, veniva rinchiuso in una piccola stanza chiamata “il buco”: una cella con una feritoia appena sopra la testa, dove per giorni veniva lasciato solo con un sorso d’acqua. A volte subiva anche violenze. Solo pensare a quei momenti le dava nausea.

Un giorno, mentre camminava verso la fermata dell’autobus, vide un bambino che si dibatteva in uno stagno. Senza pensarci, si gettò in acqua per salvarlo. Il piccolo si agitava disperato, ma Christina, più grande e forte, riuscì a prenderlo tra le braccia. Il bambino aveva il naso insanguinato, probabilmente si era ferito durante la lotta per restare a galla.

I passanti, accorsi per aiutarla, non sentirono un ringraziamento, ma le urla del bambino: «È lei che mi ha aggredito, non il contrario!» E considerando il passato di Christina, la portarono subito in caserma. Trovarono qualche cavillo legale per accusarla, nonostante il danno fosse minimo. Un’altra sventura si aggiungeva alla sua storia.

Da quel momento, prese una decisione: ognuno doveva cavarsela da solo. Non si sarebbe più intromessa nella vita di nessuno. Avrebbe preso l’autobus e sarebbe andata dove le avessero detto — in una casa isolata, in un villaggio a un’ora dalla città. Doveva arrivarci, ma si addormentò e perse la fermata. Forse era un segno.

L’autobus sobbalzava sulle buche della strada. Christina si era assopita senza accorgersene finché una donna anziana non le scosse la spalla:

— Signorina, scende a Kalinovka? L’abbiamo già superata!

Ci volle un attimo perché realizzasse dove fosse, poi scese di corsa. Intorno a lei si stendevano campi, boschi, il crepuscolo avvolgeva il paesaggio in una bellezza silenziosa. Dormire all’aperto però non era una gran cosa.

Presto arrivò al villaggio, un susseguirsi di campi e case silenziose, abbandonate, come sospese nel tempo. Controllò l’indirizzo: la casa giusta era la terza dalla fine, con tracce di pittura verde. Ne trovò due possibili, ma una era un rudere. Rimaneva solo quella.

Dentro era meglio di quanto avesse immaginato: un bollitore, del tè, zucchero, una vecchia TV, un divano consumato. Poco dopo sorseggiava una tazza fumante e mangiava un pezzo di pane rustico, poi si lasciò cadere esausta, addormentandosi.

Si risvegliò a strani rumori: un motore, passi, voci. Uno sportello sbatté e un’auto si allontanò. Christina si paralizzò, guardando fuori dalla finestra. Qualcuno sedeva accanto al cancello, accanto a una sedia a rotelle, sembrava in difficoltà a salirci.

— Ehi! Cosa fai qui? — chiamò.

L’uomo alzò lo sguardo.

— E tu?

— Vivo qui.

Un sorriso stanco le sfiorò il volto.

— Allora mi sono sbagliato indirizzo.

Christina scese e lo aiutò a entrare, sistemandolo sulla sedia a rotelle.

— Sei qui da molto?

— Da ieri sera — rispose lei con un sorriso.

— Io da dieci anni.

— Cosa? — balbettò Christina.

— Vivo “tra un posto e l’altro”, capisci? — spiegò lui.

— No! — esclamò lei. — Questa casa mi è stata affidata dalla tutela, sono un’orfana! Ho i documenti, certo che qui dentro…

— Vediamo — disse lui calmo, entrando con lei.

Sorprendentemente, Christina sembrava a suo agio, sapeva persino dove trovare due assi per agevolare l’ingresso al portico. Come faceva a conoscere il posto? Ci aveva vissuto?

In casa gli porse i documenti, ma lui li lasciò da parte senza leggere.

— Mi prepari un tè? — chiese.

Lei si mosse rapidamente, preparò il tè. Assaggiandolo, finalmente prese i documenti, li sfogliò e sorrise:

— Non hai guardato il numero? Questo è il 30, ti serve il 32, proprio di fronte.

— Cosa?! — gli occhi le si riempirono di lacrime. — Lì c’è solo un rudere, nessuno osa entrarci!

— Eppure — rispose lui — non c’è scelta.

Christina crollò su una sedia, disperata. Tutto stava andando storto di nuovo.

— E adesso?

— Devi scegliere una stanza e vivere qui. Non sarò un problema e nessun altro verrà.

— Ma sono un’orfana! Non ho altro posto dove andare!

— Fai come vuoi. Vivi qui, se vuoi, e dammi una mano con i lavori. Da lì inizierà la tua nuova vita.

Le sue parole avevano un senso. Non sembrava minaccioso, anzi, educato, quasi gentile.

— Mi chiamo Christina.

— André — rispose lui. — Non aver paura. Non sono sempre stato così… Un incidente mi ha portato via tutto. Mia moglie mi ha lasciato qui dicendo: “Questo è il tuo posto.” È salita in macchina e se ne è andata. Ora vivo qui, non posso più salire le scale…

Christina lo osservava, sentendo qualcosa addolcirsi dentro di sé. Lei, così decisa a non intromettersi più nelle vite altrui, ora beveva un tè in quella casa sconosciuta, realizzando che forse erano estranei, ma non così distanti.

— E parli con tanta calma di tutto questo? — chiese, commossa.

— Passiamo al “tu”, — propose André sorridendo. — Non sono così vecchio, ho solo trentadue anni.

— Va bene… — sospirò lei, un po’ imbarazzata.

Sdraiata nella sua stanza, Christina non riusciva a dormire. I pensieri si rincorrevano senza tregua. Che destino il suo… Orfana, senza fortuna, ma con la speranza ancora viva. E lui? Aveva tutto: salute, amore, successo… E ora? Il vuoto. Cosa può aspettarsi chi vede crollare la propria vita da un giorno all’altro?

La mattina, i rumori del villaggio la svegliarono: galli, mucche, voci lontane. Guardò l’orologio: le sei! «Perché tutto questo trambusto così presto?»

Un profumo di caffè aleggiava nell’aria. Sorprendente. Indossata la giacca, scese. André, nonostante la sedia a rotelle, stava già preparando la colazione.

— Ciao! Pensavo proprio di fare il caffè. Due tazze!

Christina inspirò il profumo.

— Wow! Che aroma autentico!

— Hai mai assaggiato un vero caffè? — sorrise lui.

Lei scosse la testa, osservandolo mentre versava la bevanda. Dopo un sorso fece una smorfia: amaro, forte.

André notò.

— Non ti piace?

— Ehm… non proprio — ammise.

Lui rise:

— Sei fortunata a non diventarne dipendente. Il caffè è quasi una droga per gli adulti.

— Allora resto con il tè — sorrise Christina.

— Bene — disse André — ora pensiamo a cosa fare dopo.

Una settimana dopo trovò lavoro al granaio. Il suo passato fece sollevare qualche sopracciglio, ma Christina fu sincera. Il direttore le diede una possibilità:

— All’inizio ti metti alla movimentazione, vediamo come va.

Tornava a casa stanca, a volte coperta di polvere, ma felice. André la accoglieva, l’ascoltava, la incoraggiava, gioiva per i suoi progressi. Per la prima volta, Christina si sentiva utile. Amata davvero.

Il primo giorno di riposo, propose:

— Andiamo a fare una passeggiata! Non ho quasi visto il villaggio. Io non l’ho mai visto. E tu non puoi restare sempre nascosto!

Lui sembrò sorpreso, poi annuì:

— Hai ragione. Andiamo.

I paesani iniziavano ad accoglierla: la salutavano, parlavano con André senza distogliere lo sguardo. Lui si rilassava e lasciava scappare qualche battuta.

Tornati a casa disse:

— Oggi ho fatto un grande viaggio. Grazie a te.

— È solo l’inizio! — esclamò Christina. — Faremo ancora grandi cose!

Gli prese la mano e, per la prima volta in tanto tempo, lui la guardò con calore.

— E i medici? C’è speranza?

— Sempre le solite frasi. Dicono: “Alzati e cammina.” E se non ce la faccio? Se le mie gambe non mi ascoltano?

André fece un gesto vago e si ritirò nella sua stanza. Christina seguì il suo sguardo. Non ora, ma presto avrebbe trovato un modo per aiutarlo.

Il giorno dopo andò a trovare l’infermiere del villaggio.

— Buongiorno! Mi chiamo Christina. Il mio “marito”… cioè, il mio vicino, ha un problema.

L’infermiere la guardò con comprensione.

— So di chi parli. Come posso aiutarti?

Lei spiegò tutto: il trauma, la diagnosi, la perdita di speranza di André. L’infermiere pensò un attimo.

— Non sono uno specialista, ma ho un amico medico. Domani vado da lui. Porta i documenti, li valuterà con i colleghi.

Christina promise di tornare con i fascicoli. Li trovò. Ma tornando a casa ebbe una brutta sorpresa: André era a terra, la sedia a rotelle rovesciata accanto.

— André! Che succede?

Lui aprì gli occhi, ansimante.

— Ho voluto alzarmi… solo per stare vicino a te. Ma non ce l’ho fatta… Sono caduto…

Christina appoggiò la testa sulla sua spalla.

— Sei pazzo… Non si fa! Dovevi allenarti, non buttarti giù così.

— Christina…

Lo baciò con dolcezza.

— Sei disabile… io orfana ed ex detenuta. E allora? Siamo fatti l’uno per l’altra.

L’infermiere mantenne la parola. Il suo amico divenne il medico di André, fornendo consigli, libri e istruzioni precise. Christina si armò di quelle conoscenze come un guerriero prima della battaglia.

André a volte si scoraggiava, si arrabbiava, bisbigliava:

— Perché tanta felicità per me? Tu sei giovane, bella… e io un uomo distrutto.

— Sono un’orfana — rispondeva lei — e allora? Siamo insieme. Questo è ciò che conta.

Sei mesi passarono. Un passo alla volta, André imparò a camminare di nuovo.

Un giorno disse:

— Devo andare in città, per un giorno.

— Vieni con me! — propose Christina.

— No. Da solo. Ho cose da sistemare.

Lei sentì il cuore stringersi. Una “donna”? Un passato? Annuitì senza parole.

— Va bene…

Piangendo tutto il giorno, preparò le sue cose e pensò di andarsene. Non poteva restare sapendo che lui partiva per un’altra vita. Ma quella sera sentì un rumore al cancello. Guardò: un’auto. André scese, con un grande mazzo di fiori in mano.

Christina corse incontro. Lui le porse i fiori e una piccola scatola.

— Sposami. Oggi ho firmato i documenti per il divorzio. Ora possiamo ricominciare da capo. Tu ed io.

Christina lo abbracciò, in lacrime di gioia. Rimasero insieme sui gradini della loro casa, il luogo del loro incontro casuale. Questa volta, per sempre.

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